Dopo mesi di richieste, il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi per la prima volta ha fornito le cifre ufficiali sugli studenti nelle scuole. Ma, secondo molti, i conti non tornano. Per rendere noti i numeri del ritorno tra i banchi, il ministro ha scelto l’audizione alla commissione Cultura della Camera. I dati dovrebbero rassicurare regioni e dirigenti scolastici. Secondo i presidi, in particolare, metà delle classi sarebbero in Dad. Secondo il ministro, invece, l’88,4% degli oltre 7 milioni di studenti italiani è in presenza, contro un 11,6% che segue le lezioni da remoto.
Una percentuale che varia di regione in regione, ma che alle 12 di ieri fotografava 850 mila ragazzi e ragazze lontani dalle aule a causa della pandemia. Sono invece il 93,4% le classi in presenza. Tra queste, però, il 13,1% ha attivato la Dad per uno o più casi di contagio o quarantene. Al contrario, il 6,6% delle classi è totalmente a distanza. Numeri e dati che, sottolinea lo stesso Bianchi, non vogliono nascondere i «molti e vari problemi» della scuola, ma che al tempo stesso evidenziano la sicurezza delle aule.
«Il grosso dei contagi è avvenuto durante il periodo di chiusura per le festività», assicura il ministro. Ma l’origine del contagio non cancella i casi positivi né cancella le difficoltà. Il ministro, infatti, annuncia modifiche per «semplificare» le procedure per Dad e quarantene. In molti, per esempio, hanno criticato la differenza di trattamento tra piccoli e adolescenti, ma il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri ricorda che «nella fascia d’età 5-11 anni chi ha completato il ciclo vaccinale è solo una piccola percentuale». Ma ammette che queste regole saranno superate «per l’incremento che vi sarà nelle vaccinazioni in questa fascia d’età e per la maggiore circolazione della variante Omicron». Poco convinti dalle cifre fornite dal ministro sono innanzitutto i sindacati. Per la Flc Cgil sono «a dir poco fumosi e opachi». Anche per la Gilda degli insegnanti si tratta di dati che «danno un’idea riduttiva del reale disagio che le scuole stanno vivendo».
La realtà è diversa, secondo Rino Di Meglio, il coordinatore nazionale della Gilda: «Per esempio, il dato del 4,9% di classi in Dad e quarantena relativo alla Campania è del tutto fuorviante, dal momento che un centinaio di sindaci ha emanato ordinanze di chiusura delle scuole dopo la pausa natalizia. Stesso discorso vale per la Sicilia (4,4%) e la Calabria (2,9%). Non si spiegherebbe altrimenti la differenza tra queste regioni e, per esempio, la Lombardia», all’8,2%. Il dubbio di molti osservatori è che tra gli studenti in Dad il ministero non abbia inserito quelli delle scuole totalmente chiuse che non hanno inviato i dati né quelli delle classi con didattica mista.
Il presidente dell’Associazione nazionale presidi Antonello Giannelli chiede a questo punto che «da ora in avanti, il Ministero pubblichi con cadenza settimanale tutte le statistiche necessarie ad avere contezza del quadro generale» e che «venga drasticamente semplificato il protocollo di gestione dei casi positivi» che è «del tutto inapplicabile per il collasso dei dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie, nonostante l’immane sforzo di collaborazione sopportato dalle scuole». È quella che il ministro Bianchi ha definito «la repubblica delle autonomie», uno dei principali ostacoli all’omogeneità nell’applicazione dei protocolli ma che – dice il ministro – «non posso affrontare da solo».
A sentire i presidi delle scuole di Milano, le cose non stanno esattamente come riferite dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, che ieri ha parlato del «93,4 per cento delle classi in presenza». C’è ad esempio la dirigente dell’Istituto Thouar-Gonzaga di Milano, Adriana Colloca, secondo la quale «il sistema con le regole attuali presenta delle falle» soprattutto per quanto riguarda i docenti che sono costretti alle supplenze per coprire le assenze dei colleghi positivi. Frequentando più classi, aumentano inevitabilmente il rischio di contagi e quarantene nel caso in cui poi diventassero loro stessi positivi.
E poi c’è Sabrina Grande, dirigente dell’Istituto Comprensivo Franceschini di Rho, nel Milanese, dove in un plesso della scuola primaria, cioè quella frequentata da alunni dai 6 ai 10 anni, la situazione è della quasi totalità di classi non in presenza. «In ogni classe, già quando abbiamo riaperto il 10 gennaio, avevamo circa il 30% di assenze. Ora però, in un plesso in particolare, su undici classi ne abbiamo cinque in Dad (didattica a distanza), con due o tre casi per classe, cinque in sorveglianza con testing e solo una che è sopravvissuta ai contagi. Ho passato il sabato e la domenica a compilare le segnalazioni all’Ats. In un altro plesso, dove abbiamo dodici classi, ne abbiamo quattro in sorveglianza con testing e una in Dad».
«La situazione è precipitata tra venerdì 14 e lunedì 17 gennaio. Mano a mano che le classi in sorveglianza mandavano i bambini a fare i tamponi, uscivano almeno due o tre casi di positività per classe. I contagi sono quotidianamente elevati, ma era comunque prevedibile, soprattutto nella scuola dell’infanzia».