E se hai perso una partita, hai giocato male, e vuoi dimenticare il profumo dell’erba con i suoi fischi nelle orecchie, ecco che tu potevi addentrarti nel Centro storico della città e sparire. Così io, allora. Finalmente. Dileguato, occultato.
Con il buio della sala, poi, i tre trilli prima dell’inizio e il sipario che si apriva, ecco un altro mondo che mi si mostrava ai miei occhi. Bello! Sì, li avevo sentiti alcuni che al mio sedere sulle cigolanti sedie, magari notato per la mia giacca, avevano bisbigliato: “Ma è isso? Sì, sì, è Mari il calciatore! Azz, ‘o jucatore, ce piace Lorca”.
Di Garcia ne sapevo poco – Notte di sangue, però… – e proprio per questo, io che da sempre ho cercato di scovare là dove molto ignoravo, era logico che finissi lì. Il San Genesio, ex Disco Panda da me mai frequentato anche quando ci bazzicava Barry White e Donna Summer, mi accoglieva nelle fattezze del miglior teatro del mondo.
Perché il teatro ovunque lo si fa, è Teatro. Per me, infatti, quel teatrino nascosto in vicolo Guaiferio non era inferiore al Massimo della città che pure frequentavo – La Mandragola l’ho vista dal loggione del Verdi e non senza emozioni -; non era inferiore neanche alla bellezza del maestoso San Carlo di Napoli che, nonostante gli orari per me proibitivi, era riuscito a farmi conoscere un celebre barbiere spagnolo.
E non c’era un perché a tutto questo. Anzi, c’era! Perché il Teatro era fila composta ai botteghini e non ressa, luci e non riflettori, silenzio in sala e non casino assordante sugli spalti; era anch’esso partita di cui anche se ne conoscevi l’esito era importante scoprire come i protagonisti l’avessero portata a termine (Con quale regia?).
Non c’era storia: netto 2 a 0 per Alessandro e Regina, nonostante il dramma finale di due amanti accoltellatisi a vicenda per amore di una stessa donna. Ed ecco che potevo tornarmene felice a casa, pensando: non tutto il mondo è pallone; per fortuna.