In un’intervista su LaVerità la scrittrice ed ex docente Paola Mastrocola, autrice con Luca Ricolfi dell’interessante libro “Il Danno scolastico” – La Nave di Teseo, dichiara quanto fuorviante sia per la scuola introdurre in via sperimentale le competenze non cognitive nel metodo didattico.
Questo è l’obiettivo di una recente proposta di legge, approvata all’unanimità dalla Camera, che introdurrebbe di fatto l’educazione alla “resilienza” per il raggiungimento di una stabilità emotiva, di un maggiore autocontrollo, dell’empatia e della fiducia in sé stessi.
Una scuola che miri alla stabilizzazione e normalizzazione della personalità dei suoi studenti e diventi una sorta di asilo dove accogliere e accudire i suoi “pulcini”, dovrebbe suscitare almeno qualche perplessità in chi vive nella scuola.
Una scuola che è divenuta prima terreno di conquista per i pedagogisti e poi per gli psicologi; una scuola psicologizzata dove le dinamiche relazionali, importanti sicuramente, hanno invaso ogni ambito della didattica con effetti poco incoraggianti.
Una scuola che disattente a quella che è la sua funzione principale, quella di trasmettere cultura, per orientarsi verso quelle che sono le abilità legate alla stabilità emotiva e all’autocontrollo, non può davvero essere l’istituzione che serve agli studenti, secondo la Mastrocola.
Le parole che sono diventate un mantra scolastico, sempre secondo la docente, sono inclusione e resilienza. Alla fine sono parole vuote, perché non prevedono nessun confronto. Chi potrebbe opporsi al concetto di inclusione sostenendo l’esclusione?
La scuola è sempre più assoggettata allo spirito del problem solving, e all’interno di questa impostazione le competenze sono considerate predominanti rispetto alle conoscenze; ne consegue che le materie astratte risultano penalizzate.
Per la Mastrocola la scuola era il periodo nel quale si concedeva ai giovani la possibilità di acquisire conoscenze che confluivano nel bagaglio culturale di ciascuno al fine di alimentare la formazione come individuo. Il nuovo cittadino europeo deve saper essere più che saper fare.
In alcune scuole elementari più che insegnare a leggere e scrivere, l’attenzione è rivolta alla formazione di coscienze sensibili allo sviluppo sostenibile attraverso lezioni che spingono gli alunni ad immaginare di essere membri dell’ONU alle prese con la promozione di iniziative a favore dell’ambiente.
Ancora, nelle scuole si cerca di limitare lo studio dei classici perché lesivi della psicologia, tra questi Orwell e Neruda, quest’ultimo per essere stato uno stupratore confesso.
Si assiste ad una semplificazione che poggia sull’idea delle soft skills per cui tutto deve essere morbido, leggero, per essere accettabile.
Una scuola che produce omologazione, non è più maestra di vita: “lì incontravi anche l’ingiustizia, la cattiveria, l’invidia il tradimento. Era un piccolo modello della vita, in cui ti tempravi sotto la guida degli insegnanti. Trovando in sé stessi le risorse e non rivolgendosi sempre all’autorità costituita … La scuola si arroga il diritto d’insegnarti non più le materie, ma cosa devi pensare, come lo devi pensare, con quale parole lo devi dire. Alla fine avremo una società-massa: spariranno gli individui e la libertà andrà a farsi benedire”.