Sulla posizione del governo italiano, come di quasi tutte le forze politiche, in apparenza non ci sono dubbi: allineate all’indignazione generale, veementi nel denunciare le inaccettabili violazioni del diritto e della sovranità nazionale ucraina, concordi sulle sanzioni decise dalla Ue.
Ma la facciata è d’obbligo, si recita a copione rigido. La realtà è molto più sfumata. Tra tutti i grandi Paesi europei l’Italia è quello che meno preme sull’acceleratore della crisi. Il premier parla solo in mattinata e i toni
sono sensibilmente diversi da quelli dei colleghi capi di governo. La condanna è «ferma», la violazione «inaccettabile», le sanzioni (in quel momento) in via di definizione. Ma accanto alla dichiarazione di rito campeggiano i richiami alla «soluzione politica e alla «via del dialogo che resta essenziale». Di Maio, qualche ora più tardi, è più rigido, chiede alla Ue di «essere irremovibile», si affanna a sottoscrivere la scelta
delle sanzioni. Il ministro degli Esteri sa di essere una specie di sorvegliato speciale per le posizioni assunte in passato dal Movimento: del resto anche in questa occasione una delle poche voci tenere con Putin, convinte
che il russo non voglia la guerra e sia solo preoccupato per la sicurezza del suo Paese, è quella di Alessandro Di Battista. Ma non c’è solo l’ombra del passato. Alla Ue non è piaciuta la richiesta privata ma soprattutto
pubblica di Draghi, quella di non includere il fronte gas nelle sanzioni. La stessa von der Layen ha chiarito di non concordare anche se effettivamente per ora la nota più dolente, l’energia, è esclusa dall’elenco
delle sanzioni. Il New York Times mette l’Italia sotto accusa perché troppo timida in materia di sanzioni e un po’ ovunque, in Europa e a maggior ragione negli Usa, l’Italia è considerata a rischio di esagerata volontà di conciliazione. Tutto per quel particolare segnalato proprio Draghi in conferenza stampa: «La Francia ha il nucleare, la Germania il carbone. Noi non abbiamo niente». Dunque dipendiamo anche più degli altri europei dal gas russo. L’Italia ha dunque tutte le ragioni per cercare più degli altri di «aprire un negoziato senza
partire da posizioni precostituite», come dichiara la presidente del gruppo Misto al Senato Loredana De Petris, LeU, e per dosare con cautela le sanzioni. Senza metterle in discussione, però. Persino Matteo Salvini prima insiste perché le sanzioni siano «l’ultima delle soluzioni», poi una volta decise, le appoggia senza neppure fingersi convinto: «Se siamo membri di un’alleanza sosteniamo le sue scelte». Senza sorvolare sul fatto che «con le ultime sanzioni contro la Russia qualcuno ci ha guadagnato e qualcuno ci ha perso»: con l’Italia capofila del
secondo gruppo. Toni diversi ma in fondo, per una volta, un sentire comune: sanzioni sì ma il minimo indispensabile.