Yamal e Nord Stream. Sono i due sottili fili che ancora tengono legata Mosca all’Occidente. E viceversa. Attraverso di loro passa il gas che fornisce energia vitale all’Europa. In senso inverso, ogni giorno, il mondo occidentale versa nelle casse dei colossi russi 700 milioni di dollari attraverso la piattaforma Swift, quella che sta per essere, in buona parte, congelata. Non tutta però. Perché per pagare le forniture di metano Gazprombank, la banca attraverso cui passano le transazioni, non sarà espulsa. Ma se quei due sottili fili si spezzano, l’Europa, Italia e Germania in testa, rischiano di restare al buio, o quasi.
Roberto Cingolani, il ministro della Transizione ecologica, ha spiegato che serviranno almeno due anni per ridurre la dipendenza da Mosca. Per questo, mentre i governi da un lato gettano in tutti i modi acqua sul fuoco, dall’altro si affannano in tutti i modi a cercare vie alternative per produrre elettricità. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è volato in Algeria insieme all’ad dell’Eni Claudio Descalzi per una missione lampo con l’obiettivo di aumentare la quota di gas algerino che arriva in Sicilia attraverso il gasdotto Transmed e che già oggi soddisfa il 28% della domanda italiana. Lo scorso anno sono arrivati 15 miliardi di metri cubi: 11 acquistati dall’Eni, tre dall’Enel e uno da Edison. Nell’immediato l’Algeria avrebbe dato la disponibilità ad aumentare la quota al massimo di 3 miliardi di metri cubi. Ma aumentare stabilmente il flusso di gas algerino non sarà semplice. Sonatrach ha investito poco in esplorazione e sviluppo dei giacimenti. Per anni è stato ripetuto che di gas ne sarebbe servito sempre di meno. Perché investire allora in nuovi giacimenti? Quelli esistenti poi, sono stati sempre più destinati a soddisfare la domanda interna algerina in crescita costante.
Insomma, sarà probabilmente necessario che l’Eni si impegni a nuovi investimenti per aumentare la produzione. Il tempo rema contro. È la risorsa più scarsa di tutte. L’Italia, normalmente, comincia ad aprile a riempire gli stoccaggi per poter affrontare l’inverno. Ieri erano al 41%, significa 24 giorni di autonomia. Il gas russo continua a essere indispensabile. Il riempimento degli stoccaggi è la principale preoccupazione del governo. Per questo il consiglio dei ministri ha adottato un decreto per razionare il gas per la produzione di energia elettrica e dirottarlo verso le riserve strategiche. Lo spegnimento delle centrali a gas e l’attivazione di quelle a carbone, e persino di quelle a olio combustibile, servirà a spostare il metano risparmiato nella produzione di energia elettrica verso gli stoccaggi che serviranno ad affrontare la prossima stagione invernale.
Questa decisione è stata presa dal governo a prescindere dalla dichiarazione di uno stato di emergenza nelle forniture di gas come normalmente previsto e che per legge avrebbe dei criteri molto stringenti. Nei giorni scorsi Terna ha chiesto a tutti i produttori italiani di energia elettrica di fornire un quadro completo della capacità produttiva e di tutte le centrali attivabili. Quelle a carbone al momento sono sei, perché una, quella di La Spezia, non è stata inclusa dall’Enel da quelle che possono essere utilizzate in quando spenta per decreto dal ministero della Transizione ecologica.
Per riaccenderla, insomma, servirebbe un nuovo provvedimento. Intanto ieri i servizi segreti, nella loro relazione al Parlamento, hanno chiaramente spiegato che la forte dipendenza dell’Italia dalle importazioni di gas è un elemento di «criticità». Ma se gli stoccaggi funzionano e sono pieni, l’Italia è in grado di reggere anche l’impatto delle interruzioni del gas in arrivo dalla Russia. Ma gli stoccaggi devono essere pieni.