Non so voi, ma mi assale la nausea già solo a leggere i titoli dei giornali che riportano posizioni contrarie di esponenti politici, associazioni.
In questo periodo ne soffro maggiormente. Sarà che ciascuno di noi è innegabilmente stanco delle privazioni da pandemia, sarà che osservando ciò che ci circonda, fa pesare con mano gli effetti dei confronti mancati, delle alternative mai costruire.
Ed ecco che se a Torino inaugurano i bus senza conducente, a Bologna quelli ad idrogeno, noi, in Campania, la prima tra le Regioni più densamente popolate in Italia, la terza per numero di popolazione, non riusciamo a sapere nemmeno se il bus passa.
Per Genova ben 14 comuni di tre regioni si candidano per la realizzazione del retroporto, in Campania abbiamo deciso di condannare alla chiusura il Porto di Salerno a tavolino.
Però oltre confine scoppia la guerra, qualcuno chiude i rubinetti del gas ed ecco che i manifestanti contrari alle infrastrutture energetiche tirano un sospiro di sollievo ascoltando in tv che grazie al TAP e ai serbatoi in giro per l’Italia riusciremo a cavarcela per un po’, e addirittura richiedono a gran voce investimenti per rendere l’Italia un paese energeticamente autosufficiente.
Quel TAP alcuni miei colleghi lo hanno costruito e hanno vissuto una guerra quotidiana assaltati, derubati, offesi.
E qua vi voglio: per colpa di chi? Della “politica del NO”. Chiusi al dialogo, ancorati a conoscenze da Wikipedia, senza approfondire costi benefici, men che meno presentando un’alternativa o partecipando alla individuazione di misure di riduzione degli impatti. Questi soggetti hanno semplicemente disseminato contrarietà, povertà, mancanze soprattutto di sviluppo sostenibile dei territori.
E mi piace pensare al TAP che una volta interrato vede crescere sopra di sé filari di piante generosamente donate ai territori, senza che fosse richiesto da alcuna prescrizione, ma solo per contribuire a sanare la ferita della Xylella (http://www.norbaonline.it/dettaglio.php?i=121283).
E’ vero, c’ è anche una faccia della medaglia. Ne parlavo con Tommaso, un ragazzo della Val D’Agri che mi raccontava delle fetenzie subite dal territorio svenduto perché è stato l’unico modo che quella politica ha trovato per trovarsi qualcosa da dare in mano a chi li ha eletti. Una politica del fare, anzi del malaffare che pure è da condannare.
E allora cosa resta? Certamente non chiudere le porte, o a pensarci bene, i porti, perché non siamo capaci di studiare, approfondire, capire come renderli sostenibili e competitivi e quindi andiamo dietro alle precostituite nozioni di qualcuno che è contrario a prescindere, o semplicemente per andare “contro” chi ha proposto. Si sfrutta la pigrizia, la mancanza di competenze e pure la fiducia, lasciatemelo dire, delle persone che si aspettano che chi amministra lo faccia pensando al bene comune senza il pregiudizio, ma con giudizio.
Non è facile scegliere per se stessi, figurarsi per un territorio, ma barricarsi dietro il NO, aggrapparsi all’opzione zero, semplifica la vita a chi deve scegliere lasciando senza un’alternativa, senza altro. E si vede.
Non c’è da accettare briciole, né bisogna farlo per paura di rimanere senza, ma nelle questioni bisogna entrarci, farsele spiegare bene le cose, fare domande, provare a costruire alternative, lasciare il porto sicuro e avere coraggio di realizzare passo dopo passo un futuro migliore, innovativo. Senza questo coraggio, soprattutto i nostri territori, il SUD, un futuro non lo avranno.
‘Stay hungry, stay foolish’, partendo da questo un tizio che viveva in un garage ha cambiato il mondo, io mi accontenterei di vedere sostenibile e vivibile un pezzettino anche più piccolo.
Chissà…