La russiofobia alza il tiro. In un momento in cui sarebbe fondamentale capire, agire con il cuore freddo e non lasciarsi trascinare da tifo che non ha nulla a che vedere con la doverosa solidarietà al popolo ucraino in Italia le baruffe chiozzotte tra cortili contrapposti non riesce proprio a spegnersi.
È il solito meccanismo, questa volta applicato alla guerra: polarizzare è la scorciatoia per non dover comprendere, per non dover fare i conti con la complessità e per convincersi che “stare dalla parte giusta” significhi additare untori ovunque. I rivoli della guerra, del resto, portano con sé trasporto solido che ha sempre a che fare con l’irrazionale bisogno di odiare. Il caso del professor Orfini
Dopo la figuraccia dell’Università Bicocca di Milano che prima cancella e poi goffamente ripristina un corso di Dostoevskij e dopo gli artisti russi boicottatati perché russi ora è il professore della Luiss Orsini che viene accusato di danneggiare “valore, patrimonio di conoscenza e reputazione” dell’università per cui lavora.
La sua colpa? Avere partecipato alla trasmissione Piazzapulita su La7 e avere espresso critiche a Usa e Europa e avere affermato che “l’idea che stiamo alimentando in queste ore è un’idea totalmente priva di fondamento nella realtà. Che Kiev da sola possa resistere, è semplicemente da escludere”.
Le opinioni legittime del professore (per quanto condivisibili) hanno scatenato l’università Luiss che l’ha accusato di non “attenersi scrupolosamente al rigore scientifico dei fatti e dell’evidenza storica” e di “lasciar spazio a pareri di carattere personale”.
Solo che le competenze del professore (che è direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza internazionale della Luiss) sono le stesse che l’hanno portato a essere apprezzato in Italia e all’estero (è Research affiliate al Mit di Boston).
Il caso di Marc Innaro
Grandi lamenti tra i partiti anche per Marc Innaro, capo-corrispondente Rai da Mosca che nei suoi servizi si è permesso il lusso (vietato di questi tempi) di fare il suo mestiere, ovvero riportare la voce ufficiale del governo russo (per quanto disdicevole sia) nei suoi servizi.
Qualcuno è saltato sulla sedia: “Diamo spazio alla propaganda russa?”, hanno sbraitato, evidentemente stupiti che nell’usurante compito del giornalismo ci sia anche il riportare la voce dei “cattivi” proprio per aiutare a comprendere.
Nel caso di Innaro la censura di Putin ha facilitato la soluzione: per non rischiare di vedere i propri giornalisti condannati la Rai dal regime di Putin ha (giustamente) richiamato in patria i suoi corrispondenti.
Per non farsi mancare niente perfino l’Anpi è accusato di fiancheggiamento per pacifismo. Anche il pacifismo è immorale per i cultori del tifo.
Lo schema è sempre lo stesso: illudersi che nascondere le contraddizioni possa essere un’arma per la compattezza. è accaduto in fase di pandemia (in cui bastava contestare un virgola di decreto per essere messi nel cassetto dei “No vax”) e si ripete oggi. Ci illudiamo che si parli di Russia ma stiamo parlando di noi.