Dopo aver letto i giornali stamane mi sono chiesto dove sia finita l’opinione pubblica del mio Paese, considerato una volta in occidente l’avamposto del pacifismo. Il panorama delle notizie e dei commenti è uniforme in maniera impressionante. In nessuna altra guerra si era manifestato un accordo tra le forze politiche del cento per cento; e in nessuna altra guerra l’informazione si era proposta senza punti interrogativi.
L’orrore, il sangue, il dolore provocati da Putin non possono giustificare la sua associazione a Hitler, né possono portare a considerare l’autocrate russo una replica del “grande dittatore”. Pensare che come il Fuhrer coltivi il disegno di invadere la Polonia e sottomettere l’Europa e il mondo intero, proponendosi come l’architetto di un nuovo ordine internazionale, è un oltraggio ai fatti e ai rapporti di forza, non solo alla storia. Il massacro degli ucraini è inaccettabile ma non è un genocidio intenzionale paragonabile a quello degli ebrei; e chi riduce l’Olocausto a una pagina di guerra sanguinosa e basta si comporta come gli storici revisionisti nazisti.
Il parallelismo si copre di ridicolo quando gli acuti commentatori convergono nel ritenere che, diversamente da Hitler, la guerra Putin l’avrebbe ormai quasi persa in meno di un mese. Secondo loro basterà aspettare le decine di migliaia di morti necessari per un lieto fine.
In questa narrazione hollywoodiana, che vede l’intera umanità impegnata contro una belva mostruosa, emerge nascosta tra le righe una banale verità: non la Nato, non l’Europa, non gli ex militanti ancora combattenti di Lotta Continua, ma gli USA da sette anni, ovvero dal 2015, hanno inviato armi per due miliardi di dollari e hanno istruito l’esercito di un paese lontano dai loro confini a combattere. Già sapevano che la Russia si preparava a realizzare un piano di aggressione? La questione umanitaria, che oggi viene sbandierata, era dunque preventiva e poggiava sulla canna del fucile e sui missili? Che Putin potesse ritenerla una minaccia non conta, visto che è uguale a Hitler e Hitler si sa cosa ha fatto.
I pacifisti disarmati credono nella strada diplomatica e nell’immediato cessate il fuoco ma subiscono l’assalto di critici feroci che, in nome del dovere morale di fermare Hitler, chiedono spasmodicamente di inviare le armi al popolo resistente. Come se non ci fosse chi ci ha pensato per tempo alle armi, e ancora ci pensa. Il buon senso e non l’ideologia direbbe che l’Italia può risparmiare le sue cerbottane. Non aggiungono un benamato all’efficacia della resistenza ucraina e spostano un pezzo del Pil terremotato dalla pandemia a favore di quelle fabbriche della morte che, si ripete ogni tanto, dovremmo svuotare per riempire i granai.
È contro il buonsenso che torna utile il paragone di Putin con Hitler, serve a cancellare ogni riserva a entrare in un conflitto che non rappresenta per noi una minaccia diretta. La Costituzione italiana non verrebbe ancora una volta violentata ma rispettata se ci stessimo veramente difendendo dalla minaccia di una aggressione all’Europa.
Infatti il nostro contributo è irrilevante sotto il profilo militare e ha, tuttavia, il rilevantissimo effetto di schiacciare italiani e europei sulle posizioni di chi lo scontro lo prevedeva e, a pensar male, lo cercava. Diveniamo cobelligeranti, sia pure di seconda fila, e rinunciamo all’autorevolezza e alla credibilità di un ruolo di mediazione che la situazione richiederebbe e che risponderebbe ai nostri veri interessi.
Non sono contro l’uso delle armi in qualsiasi circostanza, lo sono in questa, con la stessa sicurezza che uno più uno fa due. Ma per la stragrande maggioranza dei politici e dei giornalisti italiani, stretti nuovamente in un unico pensiero, uno più uno fa Terzo Reich.