Nel giorno dell’Ordinazione, alla presenza del popolo festante, il Vescovo ci ha interrogati sugli impegni del sacerdozio e noi, fasciati dalla commozione, per quattro volte abbiamo ripetuto: Sì, lo voglio!

E poi, per la quinta volta, quasi in un crescendo e misurando l’altezza della montagna, avendo nelle orecchie le parole sussurrate dal Maestro: senza di me non potete far nulla (Gv 15,5), abbiamo ripetuto: Sì, con l’aiuto di Dio, lo voglio!

Abbiamo compiuto, poi, un gesto semplice e significativo ponendo le nostre mani nelle mani del Vescovo, promettendo obbedienza all’Ordinario del tempo e ai suoi successori. Gesto magnifico, significativo, eloquente con il quale abbiamo celebrato, nel dono e nell’offerta, la nostra libertà, giocando la nostra vita sull’abisso della fede.

Attraverso le mani della Chiesa ci siamo consegnati completamente al Signore, espropriandoci, pur sapendo di essere polvere e cenere (cfr Gn 18,27). E abbiamo iniziato così, nell’entusiasmo e inseriti in una famiglia presbiterale, il nostro cammino andando, profumati di crisma e testimoni del Risorto, dove l’obbedienza ci ha condotti.

Se la stanchezza, la delusione o l’incomprensione, qualche schiaffo della vita o un suggerimento sbagliato di chi ci sembrava amico, ci hanno fatto a volte ritirare le nostre mani da quelle affidabili della Chiesa, ecco che puntuale ritorna il Giovedì Santo per ripetere, nel rinnovo delle promesse, quel gesto in modo spirituale davanti a tutto il presbiterio e al popolo che ci è affidato, e contenti e rinati, riprendere il cammino con rinnovato entusiasmo.

Un cammino insieme, sinodale, come ci chiede papa Francesco, per essere insieme Chiesa significativa, comunione e cammino di un unicum presbyterium (PO,7).

Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna. Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato (1Gv 1,5-7).

Chiediamo al Maestro, che conosce le profondità del nostro cuore, di uscire da questa celebrazione rinati dentro e profumati di crisma, resi belli e forti nel ministero. Così ci vuole la gente; così la Chiesa ci forma; così il Maestro ci sogna: compagni di viaggio, maestri di Spirito, medici dell’anima, testimoni credibili dell’Invisibile.

Così ci attendono stasera le nostre comunità per celebrare in Coena Domini il dono del sacerdozio, la bellezza dell’Eucarestia e la forza della carità che si abbassa fino a lavare i piedi.

Gettiamo il lievito vecchio e, nel dono eucaristico, profumiamo tutta la domus ecclesiae in modo che il profumo raggiunga le strade e le case di tutti.

Riprendiamo l’urgente ministero di intercessori; abitiamo l’ambone e l’altare; perdiamo tempo nel confessionale, stazioniamo presso il letto degli ammalati; dialoghiamo con le nuove generazioni; fermiamoci con gli anziani e portiamo parole di Pasqua nelle case in lutto; parole di speranza dove c’è una culla; e non manchi il tempo per meditare, studiare e riposare.

Come Abramo, nostro padre nella fede, ripetiamo: vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere (cfr Gn 18,27).

Impariamo nuovamente a contrattare con Dio nella preghiera quando sappiamo che la Città è in pericolo, o il male si annida da qualche parte e, oltre la preghiera, non abbiamo mezzi per scacciarlo e nient’altro da offrire alla nostra gente (cfr Mc 9,29).

Siamo sicuri che il nostro popolo sosterrà le nostre mani alzate, come fecero Aronne e Cur nel sostenere Mosè con le mani alzate sulla cima del colle nella battaglia contro Amalek. Nella battaglia della vita, mentre preghiamo sul monte eucaristico, sentiremo il sostegno della nostra gente per vincere insieme (cfr Es 17,8-16).

La pastorale oggi richiede di mettere nuovamente insieme evangelizzazione e sacramento per ricordare ad ogni creatura che, pur se fragile, è un prodigio dinanzi al Creatore. Così, l’opera della Chiesa si inserisce nella promozione dell’umanità secondo la sintassi del Vangelo.

Carissimi, questo è il proprium del nostro ministero da riprendere con urgenza se non vogliamo smarrire la nostra identità presbiterale, che è conformazione a Cristo Pastore, per il quale un giorno abbiamo lasciato tutto e lo abbiamo seguito (cfr Patris Corde, 7).

Se vogliamo progredire nella vita spirituale e pastorale, dobbiamo tornare alla fonte, alla sorgente, che è il Cenacolo; perché, paradossalmente, nella Chiesa si torna indietro per poter andare avanti.

Vivendo così, insieme nella Chiesa diocesana, nostra Madre, siamo abilitati a partire dalla predella dell’altare e, lasciando ad altri incombenze non nostre, che ci ingolfano e appesantiscono, a raggiungere gli altari delle solitudini, gli amboni del mutismo, i crocicchi dell’indifferenza, dove il mal capitato attende l’olio della Pasqua e il vino della gioia.

Con gli occhi fissi su di Lui (cfr Lc 4,20), con le nostre mani nelle mani della Chiesa, come querce di giustizia (cfr Is 61,3), in compagnia del nostro popolo al quale siamo inviati, usciamo dalla Cattedrale e raggiungiamo la Città, per riedificare le rovine antiche, ricostruire i vecchi ruderi, restaurare le città desolate, i luoghi devastati… (cfr Is 61,4), mentre da più parti sentiamo voci che implorano: Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono (cfr Mt 25,8).

Così, condividendo l’olio del Giovedì Santo in piccoli vasi, stimando e facendo stimare nuovamente il dono sacerdotale, alimenteremo tante altre lampade vocazionali per illuminare con la luce pasquale tutta la terra dell’Agro, in un dinamismo sempre nuovo tra Chiesa in entrata eucaristica Chiesa in uscita missionaria.

Amen.

Nocera Inferiore, 14 aprile 2022

+ Giuseppe Giudice, Vescovo