Il governo è sfatto e Draghi, dopo una telefonata con Ursula von der Leyen, ha subito avvertito Mattarella: con l’Unione Europea, una tale figura di merda non me la posso permettere. Posso mediare, ha continuato il premier, ma sulle riforme non rinuncio alle promesse che ho fatto: in caso di bocciatura, sono pronto a rassegnare le dimissioni. Il Colle ha ascoltato l’aut-aut del capo del governo e quindi ha preso atto del lungo e duro testo inviato dalla Commissione europea.
In primis, l’Italia deve attuare le quattro riforme previste nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), e quindi fisco, catasto, lavoro e concorrenza.
Secondo: l’Italia deve anche tagliare la spesa, già nel 2023, e avviare la riduzione del debito e del deficit in modo graduale e credibile.
Raccomandazioni (eufemismo) che, al momento, non si traduranno in procedura d’infrazione per il deficit eccessivo perché l’esecutivo di Bruxelles ha sospeso le procedure. “Ma una nuova valutazione sarà fatta nell’autunno 2022”.
In totale difficoltà è il nostro commissario europeo all’economia “saponetta” Gentiloni: sotto attacco dei tedeschi e nordici non riesce più a mediare. In ballo non ci sono solo i 46 miliardi di euro che Bruxelles ci bonificherà tra giugno e dicembre a patto che le riforme abbiano preso forma, ma soprattutto la sopravvivenza dell’esecutivo Draghi. Con un mondo ancora sotto virus e sconvolto dalla guerra in Ucraina, una crisi di governo è quello che ci mancava.
In queste ore il marasma politico sta infatti toccando il suo climax: a partire dalle barricate di Lega e Forza Italia sulle concessioni balneari, uno dei grandi capitoli della riforma della concorrenza di cui alla gente non frega un cazzo. Sempre Salvini, ma in duplex con Renzi, si pone poi come ultimo ostacolo per la riforma della giustizia, in ballo il Csm. Ancora: sono 9 mesi che va avanti il confronto tra Draghi e la sua maggioranza parlamentare sul codice degli appalti. Infine, il fisco: Bruxelles ci chiede di ‘’allineare i valori catastali ai valori di mercato”, e qui serve il via libera di Pd e M5s.
Un disfacimento politico che nei prossimi giorni si avvicinerà all’abisso: restano infatti poche ore per trovare un accordo, altrimenti il governo porrà la fiducia sul disegno di legge concorrenza, ma quello prima delle correzioni apportate dai partiti. E qui può accadere di tutto, di brutto.
La spaccatura in Forza Italia tra draghiani e filo-salviniani è stata celebrata alla convention di Napoli con lo scontro tra Salvini (che su suggerimento di Verdini padre liscia il pelo del Banana) e la governista Gelmini mentre sul palco si è visto un Berlusconi che ormai non ragiona più: dopo un’ora, in pieno deficit di lucidità, deve leggere quello che gli scrive la Ronzulli. La maggioranza dei parlamentari forzisti è pronta a passare tra le fila della Lega, la famosa federazione, dopo che Tajani ha fatto l’accordo con il Capitone (primo della lista alle prossime politiche).
Meno appariscenti ma anche nel Carroccio ci sono due correnti l’un contro l’altro armati: da una parte Salvini e dall’altra il trio dei governatori più Giorgetti (Draghi ha parlato 45 minuti con Zaia sui continui cambi d’umore del ‘’bagnino del Papeete’’ e del suo odio, non solo politico, nei confronti della Meloni).
L’ultimo scazzo tra i pentastellati vede il solito tarocco Casalino che vuole sostituire il nome di Grillo con quello di Giuseppe Conte sul simbolo del Movimento 5 Stelle: ovviamente idea subito bocciata da BeppeMao. Mentre Di Maio, cuor di coniglio paraculo sta sempre alla finestra, Spadafora tira fuori la spada e fa a fette Peppiniello che, su input di Travaglio, dopo l’annunciata débâcle delle prossime amministrative intende abbandonare il governo.