Pochi giorni fa è stato pubblicato l’ultimo rapporto Istat dal quale emerge una triste realtà dell’Italia come un paese che stenta a ripartire dopo la pandemia. Le disuguaglianze di genere frenano il nostro sviluppo economico e sociale.
Sono le donne, i giovani al di sotto dei 35 anni, i residenti nel Mezzogiorno e gli stranieri, i soggetti più fragili, insieme ai portatori di disabilità e ai loro familiari. C’è un potenziale tutto al femminile che il nostro paese non sfrutta, tra uomini e donne c’è un divario occupazionale dell’11% e una donna su due tra i 20 e i 64 anni è fuori dal mercato del lavoro.
È noto a tutti che esiste una correlazione tra attività lavorativa delle donne e la crescita economica di un paese, ed è per questo che la Comunità Europea ci ha imposto di agire sia socialmente che economicamente al fine di aumentare la presenza delle donne nel mercato del lavoro.
Dal rapporto Istat emerge che metà delle donne non lavorano, e al Sud lavora solo una donna su tre. Sono, infatti, meno del 50% le coppie dove entrambi i componenti lavorano, in cui la donna ha meno di 65 anni.
Senza donne al lavoro il Pil cresce meno. Si stima infatti che se l’occupazione femminile in Italia fosse nella media dell’Unione Europea il Pil del nostro Paese salirebbe di 7 punti percentuali in più.
In questi anni nonostante le tante battaglie delle donne e i progressi negli studi di tante ragazze ci siamo privati di tante potenzialità e purtroppo è noto che è spesso la mancanza di indipendenza economica che espone al rischio di violenze. Per una donna che non lavora diminuiscono, di fatto, le possibilità di contrattazione nei confronti del proprio partner e di poter interrompere la relazione, inoltre quando una donna non lavora è spesso costretta a subire una divisione dei ruoli in cui deve farsi carico della gestione e della cura della famiglia e questo alimenta un grave problema culturale legato allo stereotipo della figura femminile.
Nel nostro Paese il tasso di occupazione femminile resta il più basso all’interno dell’Unione Europea, senza segnali di avanzamento. Politiche occupazionali e riforma del mercato del lavoro sono compito dello Stato, ma purtroppo il PNRR si è dato deboli obiettivi su questo fronte. Dopo la pandemia sono state le donne a pagare il prezzo più alto della crisi, a loro sono affidate le responsabilità di cura dei più deboli, degli anziani e della famiglia. L’assenza di misure per le politiche familiari pesano in Europa e soprattutto in Italia. Bisogna concentrarsi, secondo le direttive europee, sulle politiche per promuovere l’assistenza all’infanzia a prezzi accessibili e sulla parità di genere.
Le disuguaglianze di genere avanzano non solo per quanto riguarda l’occupazione, ma anche nelle carriere e nella presenza femminile nelle istituzioni decisionali.
È lecito chiedersi come e quando si potrà interrompere questo stato di fatto.
Quando diventerà la normalità per le donne lavorare e nelle scuole si svilupperanno programmi con un’attenzione maggiore all’educazione di bambini e bambine senza stereotipi di genere, puntando a coinvolgere le ragazze nelle materie scientifiche e nelle discipline STEM e i ragazzi nell’attenzione alla cura.
È arrivato il tempo di darsi delle priorità serie, in cui è necessario investire per ottenere risultati, così come si è fatto per la transizione digitale o quella ecologica.
È arrivato il tempo di dare una svolta e di impiegare risorse anche attraverso i fondi del PNRR per lo sviluppo dell’occupazione femminile, per un welfare che alleggerisca il carico di cura che pesa sulle spalle delle donne così come si è fatto in altri paesi dell’Unione Europea e dove le donne vivono da tempo in una dimensione di libertà, autodeterminazione e benessere sociale ed economico
Mariarosaria Vitiello
Docente di Matematica e Fisica presso il Liceo Regina Margherita di Salerno
Delegata Nazionale alla Conferenza delle Donne Democratiche