Questa volta quasi certamente i collegi uninominali faranno la differenza e molto probabilmente a favore della destra. È questo il vero motivo per cui Berlusconi e Salvini hanno scelto la strada delle elezioni anticipate. Li hanno convinti i sondaggi favorevoli e la divisione che questa crisi ha prodotto tra Pd e M5s.
Guardiamo i dati. La media dei sondaggi della settimana che va dal 10 al 16 Luglio, dice che Fdi, Lega e Fi insieme possono contare sul 46,3% delle intenzioni di voto, mentre Pd, Azione/+Europa, Sinistra/Verdi, Iv arrivano al 34,1%. Il M5s è stimato all’11%. Il partito di Di Maio non è stimato.
Includendo nel centro-sinistra il M5s il distacco in voti con la destra sarebbe modesto. La vera differenza è che la destra è meno frammentata e più coesa, nonostante tutto, del centro-sinistra. È impensabile, pur in un paese in cui ne abbiamo visto e ne vediamo di tutti i colori, che Pd e M5s possano allearsi per presentare candidati comuni nei collegi dopo quanto è successo.
Quindi, con questa distribuzione di voti, il distacco tra i due poli è più o meno di 10 punti percentuali. È vero che il 46 % della destra e il 34 % del centro-sinistra sono medie nazionali e quello che conta per vincere nei collegi sono le percentuali ottenute dai candidati nei singoli collegi, ma anche tenendo conto di questo fattore, con questo distacco non c’è partita.
Ma attenzione alle varianti. Le defezioni in Forza Italia e i malumori dentro la Lega sono un segnale. Il secondo è il fattore Draghi. In un sondaggio di Euromedia del 19 luglio l’indice di fiducia del premier era ancora al 52%. In che misura l’associazione del suo nome e del suo governo al Pd e ai partiti che lo hanno sostenuto fino in fondo può influenzare il voto? Il terzo è l’astensionismo. In tutti i sondaggi la percentuale di elettori che non rispondono oggi alla domanda sul voto è stimata intorno al 40%. Non tutti gli astensionisti di oggi si asterranno il 25 settembre. Il loro voto, che oggi non conosciamo, può cambiare gli equilibri. E lo stesso si può dire a proposito dell’astensionismo aggiuntivo rispetto alle elezioni del 2018 che potrebbe favorire il centro-sinistra. Insomma mobilitazione e smobilitazione incideranno di certo.
Il quarto, e importantissimo, fattore è la composizione delle coalizioni, il modo in cui i partiti si presenteranno davanti agli elettori. Una cosa ben nota è che la domanda, cioè l’espressione del voto, è influenzata dalla offerta, cioè la configurazione delle forze in campo. Come si presenteranno i vari Calenda, Renzi, Di Maio, Gelmini ecc.? Una offerta convincente al centro dello spazio politico potrebbe far lievitare quel 34% stimato oggi come base di partenza del polo di centro-sinistra. Ma non sarà facile trovare la quadra, come già si vede dalle diatribe di queste ore.
In realtà non si sa nemmeno se Pd e Azione decideranno di stare insieme o meno. Se andassero divisi il quadro della competizione cambierebbe completamente. Da ultimo e non da meno, non si può non tener conto che su questa tornata elettorale aleggia in autunno lo spettro di una crisi economica, sociale e forse pandemica che potrebbe incidere pesantemente sugli orientamenti politici e quindi sull’esito del voto. In quale direzione non è dato sapere oggi.
Per quanto quanto riguarda il Senato. Ottenendo il 46% dei seggi proporzionali, che più o meno corrisponde al 46% di voti, la destra dovrebbe ottenere il 65% dei seggi maggioritari per avere un totale di 104 seggi su 200. Questo significa che dovrebbe vincere 48 collegi su 74. Se invece i seggi/voti proporzionali fossero il 42% dovrebbe vincerne il 70%, vale a dire 52 su 74, per avere 103 seggi totali. Sono percentuali elevate ma non irraggiungibili. D’altronde, basterebbe che il centro-sinistra vincesse una trentina di seggi uninominali per impedire al centro-destra di conseguire la maggioranza assoluta al Senato. Missione difficile ma non impossibile. Conclusione: per Pd e alleati la corsa è senza dubbio in salita ma non è persa in partenza. Se riuscissero a fare una campagna elettorale perfetta la destra potrebbe non arrivare alla maggioranza assoluta dei seggi in una delle due camere oppure ottenere maggioranze risicate. Ma potrebbe succedere anche il contrario: che la destra, grazie ai collegi uninominali e alle divisioni e agli errori dei partiti di centro-sinistra, possa conseguire vittoria schiacciante.