Esistono influssi massonici nella letteratura italiana del Settecento? Poiché il campo d’indagine in questione è molto vasto, uno studio sistematico sulla questione non è ancora stato realizzato e sono poche le pubblicazioni critiche reperibili sull’argomento. Tuttavia Giulia Delogu, approfondendo le relazioni tra massoneria e letteratura nell’Italia del Settecento, ha evidenziato che al centro del legame tra letteratura e massoneria si trova la poesia. La scrittura in versi non era, infatti, solo l’espressione della sensibilità dell’autore, ma era anche e soprattutto uno strumento da utilizzare per diffondere messaggi politici. Si riteneva che il testo poetico, per le sue peculiari caratteristiche stilistiche, linguistiche e ritmiche, riuscisse meglio della prosa a trasmettere contenuti anche presso le classi subalterne e incolte.
Il rapporto tra massoneria e letteratura ha lasciato tracce in molti autori noti, da Ugo Foscolo a Vincenzo Monti, entrambi liberi muratori. Ugo Foscolo, infatti, fu massone e sedette tra le colonne della stessa Loggia Massonica di Vincenzo Monti, la Reale Amalia Augusta di Brescia. Il poeta Vincenzo Monti aderì alla Massoneria, ma la sua esperienza fu poi rinnegata nei fatti alla caduta di Napoleone. Infatti, il celebre traduttore dell’Iliade, non fu un esempio di coerenza perché prima esaltò il mecenatismo di Papa Pio VI, poi divenne giacobino, massone e cantore di Napoleone, infine, con Il Mistico omaggio, Il ritorno d’Astrea e L’invito a Pallade, inneggiò il ritorno degli austriaci. Non fu così, invece, per il massone e poeta nocerino Vincenzo de Vincentiis, intimo amico epistolare di Vincenzo Monti, che adesso esamineremo. Tuttavia, per comprendere meglio gli eventi di questo personaggio, sarà utile accennare prima alla realizzazione e agli affiliati della Loggia Massonica di Nocera de’ Pagani, consultando la Storia di Nocera de’ Pagani di Gennaro Orlando e i documenti notarili nocerini di quel tumultuoso periodo.
Nel Settecento a Nocera de’ Pagani, si trovava l’unica Loggia Massonica del Principato Citra, che corrisponde grossomodo all’attuale Provincia di Salerno. Infatti, il nocerino Costantino Amato costituì, nei primi anni del 1790, la Loggia Massonica I Figli di Monte Albino, titolo spesso usato nella forma contratta di I Figli di Montalbino, dove ricoprì la dignità di Maestro Venerabile. La Loggia si era diramata anche nei paesi limitrofi, trovando proseliti per la propaganda delle “nuove” idee. Allo scoppio della Rivoluzione, i massoni nocerini furono tra i promotori della Repubblica Napoletana. Affiliati alla Loggia erano giovani possidenti che appartenevano al ceto abbiente nocerino, istruiti, sostenitori del “nuovo” corso politico quali Benevento Francesco, Broja Francesco, De Vincentiis Andrea, De Vinncentiis Vincenzo, Di Francesco Luigi, Federici Francesco, Fronda Domenico, Orlando Andrea, Pastore Michele, Pecoraro Paolo, Perrotta Domenico, Tortora Orazio, Villani Gaetano. Non sarà possibile prendere in esame le vicende di tutti questi massoni in questa sede, ma per farci un’idea di cosa rischiavano questi personaggi in quel periodo per promuovere un “nuovo” corso politico, evidenzieremo un episodio clamoroso che coinvolse Francesco Federici e alcuni dei suoi fratelli massoni.
Francesco Federici di Casale del Pozzo, antico rione dell’attuale Nocera Inferiore, era membro, nel 1798, della Loggia Massonica I Figli di Monte Albino. All’indomani della Rivoluzione Napoletana guidò il gruppo di giovani che piantò a Nocera l’albero della libertà nel febbraio del 1799. Dopo la vittoria dell’armata sanfedista del cardinale Fabrizio Ruffo di Calabria, fu arrestato e imprigionato nel carcere della Vicaria (denominato dal popolo ‘o Panaro) assieme a Paolo Pecoraro, Orazio Tortora e Gaetano Villani. Trasferiti, dopo dieci mesi di dura detenzione, a Salerno, furono condannati dalla locale Regia Udienza alla pena di morte. Condotti, nel marzo del 1800, a Nocera per essere afforcati pubblicamente nella loro città si salvarono attraverso uno stratagemma organizzato dalle loro famiglie. Infatti, alla vigilia dell’esecuzione, il boia, comprato per cinquecento ducati, simulò una caduta dal calesse, che lo trasportava da Salerno. Avendo subito una brutta contusione a un braccio, dichiarò che non era in grado di portare a termine, nella data prestabilita, il proprio compito, avendo bisogno di qualche giorno di riposo per riprendersi. Nel frattempo, i parenti dei condannati avevano presentato una richiesta di grazia a Ferdinando IV di Borbone il quale, come ci racconta Gennaro Orlando, “di nulla sospettando, e fattisi un po’ pregare, la concesse, soggiungendo: A nulla vi gioverà, poiché i vostri congiunti a quest’ora saranno già morti”. La risposta fu: “Almeno eviteremo, che l’onta di una morte infame non resti nei nostri casati”. Il ritardo dell’esecuzione capitale e la contemporanea concessione della grazia salvarono la vita a Francesco Federici e ai suoi compagni, ma non riuscì a evitare loro il confino nell’isola di Favignana. Di qui, alcuni mesi dopo, Francesco Federici fuggì, assieme ad altri due compagni, con una precaria imbarcazione. Raccolto da una nave francese, fu sbarcato a Marsiglia, dove visse, sempre secondo la narrazione di Gennaro Orlando, “modestamente, spesato da un Nicola Aversa, familiare del Tortora Orazio, il quale si diede all’industria dell’acquacedrataio, per cavar da vivere per sé e per gli altri”. Salito al trono del Regno di Napoli Giuseppe Bonaparte, Francesco Federici ritornò in madrepatria, dove riacquistò i beni confiscati.
Dopo questa breve parentesi occupiamoci adesso del massone Vincenzo de Vincentiis. Il Dottore in legge e poeta Vincenzo de Vincentiis, Giudice della Bagliva nel 1786, nel 1798 era membro della Loggia Massonica I figli di Monte Albino di Nocera de’ Pagani. Fondò, insieme all’Abate Cuomo, un’associazione di letterati e studiosi locali simpatizzanti per le nuove idee d’oltralpe. Fu in corrispondenza con il poeta Vincenzo Monti e altri eruditi del suo tempo. Della sua produzione poetica fino a oggi non possediamo nulla perché molto probabilmente circolava su fogli volanti o attraverso una semplice trasmissione orale. Eletto, il 12 maggio 1805, dal Parlamento cittadino Sindaco di Nocera Corpo si insediò nella carica il primo settembre dello stesso anno. All’inizio del decennio francese (1806-1815) fu nominato, dal generale francese Jean Antoine Verdier, Presidente della Deputazione provvisoria di dodici cittadini incaricata di provvedere alla tranquillità pubblica e a tutte le necessità logistiche delle truppe transalpine di stanza al Gran Quartiere (oggi denominato volgarmente “Caserma Rossa”) di Nocera. Subì due volte brevi arresti per non aver eseguito compiutamente la raccolta dei fondi richiesta (trattenuto, la seconda volta, per sette giorni a Sarno) e liberato dai suoi concittadini dopo volontaria tassazione. Abolita, il 2 agosto 1806, la feudalità, fece parte della delegazione nocerina, inviata nella capitale per ringraziare il nuovo sovrano, Giuseppe Bonaparte. Decadde, per fine mandato, dalla carica di Sindaco il primo settembre seguente e fu sostituito da Massimo Villani. Colto da grave infermità, divenne, alcuni anni dopo, completamente cieco. Morì nel 1818, ultimo della sua famiglia, essendogli morto prematuramente il suo unico figlio Andrea.