Lo scenario ? Nel 2022 dovrebbero frenare soprattutto i consumi delle famiglie italiane meno abbienti, sui cui bilanci incide maggiormente l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità. Lo dice Svimez, nel corso della conferenza stampa alla Camera sulle anticipazioni 2022, cui sono intervenuti il presidente Adriano Giannola e il direttore Luca Bianchi. “Un’asimmetria tra famiglie che si traduce meccanicamente in un’asimmetria territoriale sfavorevole al Sud, dove più di un terzo delle famiglie si posiziona nel primo quintile di spesa familiare mensile equivalente, contro il 14,4% del Centro e meno del 13% nel Nord“, fanno notare.
Gli investimenti
Crescono al Sud più che al Nord nel 2022: +12,2% contro il +10,1%. Al Sud però spingono la crescita soprattutto quelli nel settore delle costruzioni, grazie allo stimolo pubblico (ecobonus 110% e interventi finanziati dal PNNR); la crescita degli investimenti orientati all’ampliamento della capacità produttiva è invece inferiore di tre punti a quella del Centro-Nord (+7% contro +10%). Nel biennio 2023-2024, in un contesto di drastica riduzione del ritmo di crescita nazionale (+1,5% nel 2023; +1,8% nel 2024), Il Mezzogiorno fa segnare tassi di variazione del Pil inferiori al resto del Paese, nonostante il significativo contributo alla crescita del PNRR. Nel 2023, il Pil dovrebbe segnare un incremento dell’1,7% nelle regioni centrosettentrionali, e dello 0,9% in quelle del Sud. Nel 2024, si manterrebbe un divario di crescita a sfavore del Sud di circa 6 decimi di punto: +1,9% al nord contro il +1,3% del Sud.
L’impatto dello shock inflazionistico sui consumi dovrebbe estendersi a tutto il biennio 2023-2024 a causa della persistenza temporale dell’effetto di erosione del potere d’acquisto di redditi e risparmi delle famiglie, con impatti amplificati al Sud. Analogamente, lo shock sui costi di produzione si dovrebbe trascinare nel biennio incidendo sulle decisioni di investimento delle imprese, che dovrebbero seguire una dinamica più bilanciata tra componente in costruzioni e macchinari nel Centro Nord, mentre al Sud prevarrebbe ancora l’effetto di stimolo determinato dalla ripresa degli investimenti pubblici, a svantaggio della crescita degli investimenti in macchinari e attrezzature.
L’instabilità politica
Con l’instabilità politica potrebbero tornare le tensioni sui mercati finanziari, con effetti depressivi maggiori sull’economia meridionale. Successivamente alla caduta del governo Draghi, sono emerse delle tensioni nei mercati finanziari internazionali segnalate dal repentino innalzamento dello spread. Le “tradizionali” preoccupazioni sulla tenuta dei nostri conti pubblici sono state accompagnate dai timori che il tempo necessario per le nuove elezioni politiche e la formazione del nuovo esecutivo possa rallentare il rigido cronoprogramma su cui è basata la piena implementazione del PNRR. La Svimez valuta che, rispetto allo scenario base, una prolungata situazione di tensione nei mercati finanziari possa determinare una perdita di PIL, nel biennio 2022-2023, di circa sette decimi di punto percentuale a livello nazionale. Nel Sud, la perdita di PIL arriverebbe al punto percentuale, mentre nel resto del Paese risulterebbe più contenuta arrestandosi a sei decimi di punto.
Le previsioni regionali del Pil
Sia in riferimento al solo 2022, che nei due anni successivi, le previsioni Svimez indicano, sotto il profilo territoriale, una crescita che tocca tutti i territori, ma in maniera differenziata. Il nucleo delle regioni “forti”, sia al Centro-Nord (Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto) che al Sud (Abruzzo, Campania, Puglia), al di là di qualche scostamento congiunturale, tende a permanere nelle posizioni più avanzate. Poiché gli anni coperti dalle previsioni si caratterizzano per misure di politica economica significative, se ne deduce che queste diffondono la crescita un po’ ovunque, ma non intaccano i meccanismi (strutturali) alla base delle diverse performance regionali (ciò richiede, ovviamente, un arco temporale ben maggiore di quello previsto dal PNRR) (vedi Tab.2).
Le imprese nel Mezzogiorno più esposte allo shock Ucraina
“L’aumento dei costi dell’energia incide maggiormente sui bilanci delle aziende del Mezzogiorno perché qui sono più diffuse le imprese di piccola dimensione, caratterizzate da costi di approvvigionamento energetico strutturalmente più elevati sia nell’industria che nei servizi. Inoltre i costi dei trasporti al Sud sono più alti, oltre il doppio rispetto a quelli delle altre aree del paese. Quindi il sistema produttivo meridionale si dimostra più fragile rispetto all’impatto della guerra. Si stima infatti che uno shock simmetrico sui prezzi dell’energia elettrica che ne aumenti il costo del 10%, a parità di cose, determini al Sud una contrazione dei margini dell’industria di circa 7 volte superiore a quella osservata nel resto d’Italia, rischiando di compromettere la sostenibilità dei processi produttivi con possibili conseguenze sul mantenimento dei livelli occupazionali”, spiegano da Svimez.
Occupazione al Sud, cresce ma peggiora la qualità del lavoro
Nel I trimestre del 2022 l’occupazione del Mezzogiorno è tornata a livelli del primo trimestre del 2020 con ancora 280mila posti di lavoro da recuperare rispetto al primo trimestre 2009. Il recupero dell’occupazione nel 2021 è però interamente dovuto al Sud ad una crescita dell’occupazione precaria (dipendenti a termine e tempo parziale involontario). Nel Centro-Nord, riprende a crescere anche il tempo indeterminato. Dalla crisi del 2008, il progressivo peggioramento della qualità del lavoro, con la diffusione di lavori precari ha portato ad una forte crescita dei lavoratori a basso reddito, a rischio povertà. Intervenendo in un mercato del lavoro già segnato da una crescita dell’occupazione «senza qualità», la ripresa dell’occupazione del 2021 nel Mezzogiorno si è concentrata sulla crescita del lavoro precario che ha «spiazzato» le forme di impiego più stabile.
Tab. 1 Gli indicatori di precarietà e basso reddito dei lavoratori del Sud, anno 2021 | ||
Mezzogiorno | Centro-Nord | |
Percentuale part-time involontario | 77,5 | 54,7 |
Percentuale dipendenti a termine | 23,0 | 14,2 |
Occupati a termine da più di cinque anni | 23,8 | 14,1 |
Dipendenti con bassa paga (*) | 15,3 | 8,4 |
Fonte: elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT | ||
(*) Occupati con reddito inferiore al 60% del reddito mediano equivalente, 2020 |
Dare continuità al PNRR
E’ importante dare continuità al PNRR per colmare i divari sui diritti di cittadinanza: nelle infrastrutture scolastiche e nei ritardi e divergenze nei sistemi produttivi. Il meccanismo “competitivo” di allocazione delle risorse agli enti territoriali responsabili degli interventi ha mostrato diverse criticità. Mettere in competizione gli enti locali ha allontanato il PNRR dal rispetto del criterio perequativo che avrebbe dovuto orientare la distribuzione territoriale delle risorse disponibili per andare incontro all’obiettivo di riequilibrio territoriale.
Più coerente con le finalità di riequilibrio del PNRR sarebbe stato un meccanismo perequativo di distribuzione delle risorse basato su una ricognizione dei fabbisogni di investimento. Soprattutto negli ambiti in cui sono stati di recente, finalmente, definiti i Livelli Essenziali delle Prestazioni in ambito sociale (emblematico è il caso degli asili nido) e in quelli in cui comunque esistono obiettivi di servizio o standard nazionali fissati dalla normativa statale. Ambiti nei quali le informazioni sulla distribuzione territoriale dei bisogni, come vedremo nel caso delle infrastrutture scolastiche, è completa e accessibile alle Amministrazioni centrali. Sulla base di queste informazioni il “centro” avrebbe potuto – a competenze invariate – assumere la responsabilità diretta di orientare l’azione della periferia sulla priorità nazionale dell’effettiva riduzione dei divari di accesso a servizi essenziali, al di là del mero conseguimento contabile della quota del 40%.
Utilizzare il PNRR per colmare il divario di infrastrutture sociali a partire dall’istruzione
Nel Mezzogiorno circa 650 mila alunni delle scuole primarie statali (79% del totale) non beneficiano di alcun servizio mensa. In Campania se ne contano 200 mila (87%), in Sicilia 184mila (88%), in Puglia 100mila (65%), in Calabria 60mila (80%). Nel Centro-Nord gli studenti senza mensa sono 700mila, il 46% del totale. Circa 550mila alunni delle scuole primarie del Mezzogiorno (66% del totale) non frequentano scuole dotate di una palestra. Solo la Puglia presenta una buona dotazione di palestre mentre registrano un netto ritardo la Campania (170mila allievi senza, 73% del totale), la Sicilia (81%), la Calabria (83%). Nel Centro-Nord gli studenti senza palestra raggiungono il 54%. Il 57% degli alunni meridionali della scuola secondaria di secondo grado non ha accesso a una palestra; la stessa percentuale che si registra nella scuola secondaria di primo grado. Da segnalare che quasi un minore meridionale su 3 (31,35%) nella fascia tra i 6 e i 17 anni è in sovrappeso, rispetto ad un minore su cinque nel Centro-Nord, in Basilicata il 40% (SVIMEZ-UISP, 2021).