Le parole, proprio come le persone, nascono, si sviluppano, hanno momenti di straordinaria notorietà, invecchiano e talvolta cadono nel silenzio. Una parola che di questi tempi vive una grande popolarità è bullo. Questa parola compare per la prima volta nel primo dizionario bilingue che fu un evento di grande novità per quel periodo storico.
Infatti, nel 1598 Giovanni Florio pubblicava il dizionario italiano-inglese intitolato World of Words, che è (specialmente nel testo arricchito e ampliato della seconda edizione, uscita nel 1611 col titolo di Queen Anna’s New World of Words), una raccolta molto pregevole per i tempi, ricchissima di materiale lessicale. Giovanni Florio, noto anche come John Florio (Londra, 1552 –Fulham, 1625), è stato un umanista inglese di origine italiana che nella sua opera Secondi Frutti (“Second Fruits”) del 1591, si definì Italus ore, Anglus pectore, cioè, Italiano di lingua, Inglese nel cuore. Giovanni Florio nel suo dizionario alla voce Bullo attesta: “A ruffian, a swashbuckler, a tistietostie, a swaggrer”. Il termine bullo, riappare poi in Ludovico Antonio Muratori che nella sua Dissertazione sopra le Antichità Italiane, Tomo III, pubblicata postuma nel 1783 alla voce Bullo afferma: “Lo stesso di Smargiasso o Sgherro. È vocabolo di Lombardia. Vien da me creduto di origine Germanica, avendo quella Lingua Bul, Buhl, significante Drudo, Amante, Bertone. Così furono una volta chiamati gli Amanti o Bravi delle Donne pubbliche, e tal voce fu poi trasferita a tutti gli Smargiassi. Anche presso gli Inglesi Bully vuol dire un falso Bravo”. Il termine subisce poi una lunga eclisse per ricomparire sistematicamente a partire dal “Dizionario Moderno” di Alfredo Panzini del 1905. Già in queste edizioni i significati, i tratti dell’arroganza, della prepotenza, della spavalderia e della violenza sono predominanti. Come si può intuire, dunque, il bullo non è un personaggio solo di questa società, non è frutto di questo periodo storico ma giunge da lontano. Infatti, già nel Seicento, un periodo di soprusi e prepotenze, questo fenomeno era molto diffuso come si evince nel romanzo I Promessi Sposi. Alessandro Manzoni ha avuto la grande intuizione di capire e mettere bene a fuoco l’universalità caratteriale di personaggi e situazioni che hanno contraddistinto il Seicento. Il suo bersaglio è soprattutto l’aristocrazia feudale che nel XVII e nel XVIII secolo aveva ampi privilegi e sottoponeva le popolazioni contadine a vessazioni e soprusi. Uno dei temi ricorrenti del romanzo è la violenza, una violenza perpetrata con fredda determinazione nei confronti di uomini, donne e bambini. Le violenze nei Promessi Sposi sono di natura fisica, psicologica, politica, militare, economica, racchiudono l’ampio scenario delle relazioni umane.
Nel Seicento alcuni bulli furono molto attivi anche nella città di Nocera de’ Pagani e furono i principali protagonisti di atti criminali che per la loro efferatezza fanno rabbrividire ancora oggi. Attraverso la Cronaca e storia del ‘600 nell’Agro. Gli annali di Ovidio e Gaetano Forino, cercheremo ora di comprendere chi furono questi terribili personaggi.
Roberto Guerritore, nato il 14 luglio del 1624 e Ugone Pagano, nato il 4 marzo del 1625, erano i rampolli di due famiglie nobili di Nocera de’ Pagani. Erano due teste calde già durante la loro adolescenza poiché all’epoca del primo episodio di sangue Roberto non aveva ancora compiuto sedici anni e Ugone ne aveva meno di quindici. Erano due spavaldi o meglio due bulli, per usare un linguaggio contemporaneo. Le loro amicizie non erano da meno, infatti, un’altra testa gloriosa che frequentava i nostri due giovani prepotenti, era Fulvio De Risi, nato il 23 settembre del 1622. La vicenda di Roberto Guerritore e della sua cricca trae origine dalla sua passione amorosa per Ersilia Carafa, la giovanissima nipote di Francesco Maria Domenico Carafa Duca di Nocera de’ Pagani. I due adolescenti si erano pazzamente innamorati al primo incontro, e come accade di solito in queste circostanze, pur di coronare il loro sogno, erano disposti a tutto. Purtroppo la loro storia d’amore si intrecciò con gli interessi politici del Duca Carafa, un uomo cinico e spietato, che mal sopportava le ingerenze nei suoi affari di Giacomo Coglia, che terminò in modo tragico. Adesso però andiamo con ordine e cerchiamo di comprendere questa dolorosa vicenda.
Il Duca Tiberio Carafa, nel comprare la città di Nocera de’ Pagani e il suo territorio nel 1521, riconobbe, a parole, il Privilegio dei provventi della città, e a parole lo riconobbero anche i suoi discendenti. Tuttavia, e per quanto fu possibile, tentarono sempre di violarlo, o, almeno, di stabilire qualche precedente che desse poi occasione per annullarlo legalmente. La città stette sempre sull’avviso, e la questione, discussa per oltre un secolo fra pareri, spesso contraddittori, di giudici, e cavilli di avvocati, si andò sempre più accentuando, finché il Duca Francesco Maria Domenico Carafa non volle troppo immischiarsi nelle faccende civiche, nelle quali egli non doveva avere alcuna ingerenza, ma per risolvere la questione era meglio ricorrere alla violenza. Così, approfittando di qualche malumore che c’era tra le nobili famiglie Pagano e Guerritore e quella del Coglia, egli seppe indurre Roberto Guerritore, pazzamente innamorato di Ersilia Carafa, e Ugone Pagano a uccidere Giacomo Coglia che allora godeva molta autorità per gli alti uffici che aveva esercitato nella magistratura, e che si era dichiarato fra i più attivi difensori della città. Pertanto il 17 maggio del 1640, Roberto Guerritore con la complicità di Ugone Pagano sgozzò senza esitazione Giacomo Coglia nell’atrio della chiesa del Carmine. Non contento di ciò, il Duca volle che fosse eletto Sindaco Universale uno dei suoi uomini di fiducia. Ci furono allora gravi e ripetuti ricorsi al Viceré, che diede torto al Duca e pertanto, trovandosi in una condizione sfavorevole, il Duca finse di riconciliarsi con i cittadini, mediante una tregua che durò due anni. Questa tregua, tuttavia, non produsse il risultato sperato, anzi peggiorò la condizione delle cose. Infatti, sempre fisso nelle sue idee di prepotenza e di vendetta, il Duca impose nuovamente i nomi dei suoi fidi per Sindaci Universali. Inoltre, per confermare ulteriormente la sua tirannide, il 18 novembre del 1644, spinse di nuovo Ugone Pagano e Roberto Guerritore, al quale in questa occasione aveva promesso in moglie la nipote, coadiuvati dai suoi bravi, a pugnalare a morte Giovanni Cola Califano, uno dei Sindaci Universali, il quale in pubblico Parlamento aveva gridato che, vivente lui, mai avrebbe tollerato che il Duca violasse il Privilegio dei provventi della città. Il Duca, dopo quest’altro omicidio, mostrandosi pentito del mal fatto, finse di accostarsi nuovamente alla città, chiedendo pace, che gli fu concessa, ma in apparenza, perché i tempi ormai erano mutati.
Le principali famiglie, infatti, dimenticati gli odi che fino allora le avevano separate, si erano strette attorno alla città a difesa delle comuni esenzioni. Il Duca allora, indispettito contro le famiglie Guerritore e Pagano, che di amiche gli erano dichiarate avverse, giurò di vendicarsi, così mercoledì 16 gennaio del 1647, due sicari assoldati dal Duca sgozzarono in Piazza Santa Chiara Roberto Guerritore, e ferirono a morte Ugone Pagano, quegli stessi che, anni prima, istigati da lui, avevano ucciso Giacomo Coglia e Giovanni Cola Califano. Poco tempo dopo, Ersilia Carafa morì pazza per la perdita del fidanzato.