Novant’anni per Maurizio Scaparro, l’ultimo della generazione di Strehler, che col Piccolo di Milano, fece nascere il teatro pubblico e la moderna regia.
Negli anni lo troviamo, per citare le tappe fondamentali dopo gli inizi allo Stabile di Bologna, direttore di quello di Bolzano, quindi nel 1983 directeur adjoint del Théatre de l’Europe a Parigi, al fianco di Strehler, e subito dopo direttore del Teatro di Roma (1983-1990); poi commissario straordinario dell’Eti, direttore dell’Olimpico di Vicenza, direttore del Teatro Eliseo di Roma (1997-2001), senza dimenticare a Parigi la direzione del Théatre des Italiens.Per questo quelli di quella generazione furono registi impegnati, ognuno con una propria cifra stilistica e poetica, che Scaparro rivela nei personaggi centrali del suo percorso artistico, per certi versi scomodi perché sognatori, capaci di vivere un’utopia. Per intenderci, ecco che si parte da uno spettacolo per il ventennale della Resistenza Festa grande di Aprile di Franco Antonicelli nel 1964 con cui inizia anche la collaborazione con lo scenografo di una vita Roberto Francia; poi l’anno dopo al Festival di Spoleto la riscoperta di una donna libera e intraprendente come la Venexiana di anonimo cinquecentesco, riproposta più volte nel tempo e portata anche in America, proseguendo negli anni con l’ottocentesco bandito Stefano Pelloni detto il Passatore, per arrivare ai grandi testi classici, da Amleto che segna l’inizio del lungo sodalizio con un attore quale Pino Micol con cui nascono Cirano di Bergerac, Don Chisciotte, Caligola scritto da Albert Camus, la brechtiana ‘Vita di Galileo, e avanti ci sono ancora Il fu Mattia Pascal, Enrico IV, Don Giovanni sia raccontato dai comici dell’art sia quello di Mozart all’opera, la scandalosa ‘Governante’ di Brancati, sino ai privati sentimenti e le riflessioni politiche delle intense Memorie di Adriano dalla Yourcenar che dal 1989 diverrà cavallo di battaglia di Giorgio Albertazzi e oggi di Micol, con in mezzo lo sberleffo poetico e popolare dei due Pulcinella di Santanelli-Rossellini con Massimo Ranieri, diventato nel 2009 anche un film. “Oggi non voglio inventare un nuovo modo di fare cinema né tanto meno un nuovo linguaggio. Vorrei solo trasmettere al meglio, artisticamente e tecnicamente, la passione e l’ansia di comunicare oggi i nostri sogni teatrali ad un’ideale platea sempre più ampia, attraverso i nuovi percorsi che il cinema prima e oggi le nuove tecnologie offrono all’artista del palcoscenico e allo spettatore”.