C’erano una volta un’estate calda calda, tante cicale politiche a cui non piaceva né sudare né far fatica ma soltanto parlare parlare, perché così facendo si poteva fare un lavoro bellissimo e ben pagato, a Roma, in due bellissimi palazzi, dove si poteva continuare a parlare e parlare, per altri 5 anni, senza per niente preoccuparsi del domani se non del proprio. L’unica cosa che gli piaceva fare era parlare tutto il giorno.
Sotto il ramo dell’albero dove stava sdraiata comoda la cicala pensando con chi doveva pigliarsela e cosa doveva inventare per essere votata, passavano avanti e indietro le formiche, tutte indaffarate a pensare a come trovate i soldi per portare avanti le loro famiglie, pagare le tasse, curarsi dalle malattie e riscaldarsi d’inverno perché la spesa per il riscaldamento era arrivata alle stelle e molte formiche non avevano nemmeno un lavoro stabile, ma stavano a vedere solo se qualche cicala potesse fargli una raccomandazione, visto che le povere cicale, impegnate a parlare tutto il giorno non c’è la facevano proprio a far star bene tutto insieme con qualche provvedimento generale. Però tant’è, era un mondo in cui le Cicale comandavano perché le formiche erano divise o non ci pensavano proprio a mandare una di loro al comando, non proprio schiavo, perché la schiavitu era stata abolita, ma, certamente non padrone, e, senza scala sociale dovevano stare in basso ad aspettare. La cicale, vedendo quanto erano sudate la formiche, iniziarono a prenderle in giro e dovevano a una formica che sembrava un po’ più scaltra delle altre: – Vieni quassù con me, signora formica. Fa più fresco e, mentre ti riposi, cantiamo insieme qualche canzone – e, così dicendo, iniziò a cantare.
– Grazie mille per l’invito, signora cicala, disse la formica, però smettila di cantare, io sono molto indaffarata a mettere via provviste per l’inverno e a sistemare la mia casetta per proteggermi dal freddo, quando arriverà – e, così dicendo, continuò ad andare avanti e indietro per il prato, indaffarata. Tu cara cicala, dico a te e a tutte le tue compagne, di sicuro non soffrirai il freddo, perché per te un po’ dì caldo ci sarà sempre. Magari, visto che stai al posto di comando da tanto tempo, in tutti questi potevi pure programmare per tutti i tuoi sudditi, noi formichine operose, l’uso di energie alternative. L’Italia è il paese del sole, del vento, del mare. Queste cose producono un’energia non solo psicologica, perché sono belle da sentire e da vedere, ma anche un’energia vera e propria, pulita, con la quale potevamo riscaldarci l’inverno e far andare avanti le nostre fabbriche. Però voi, care cicale, non sapete programmare niente. Non sapete nemmeno che ci sono delle centrali nucleari, più pulite, più piccole che utilizzano, come carburante, addirittura le scorie nucleari delle vecchie centrali, pulendo un po’ il mondo. Potevate pensare di sostituire i medici andati in pensione nei nostri ospedali, aprendo il numero chiuso, dieci anni fa però, invece di farci stare negli ospedali ad aspettare ore ed ore per farci curare. Però si sa a voi piace cantare, cogliere il giorno, cavalcare la polemica, sbandierare che siete buone, divertirvi, ma non programmate mai niente per il domani, vivete alla giornata cavalcando il niente delle polemiche verbali, producendo mare, ma noi formiche, sia quelle operose che quelle deluse, vi misuriamo coi fatti e siamo stanche di non potervi misurare. Andremo pure a votarvi, ma poi, sempre voi dovremo citare, ci sono solo poche formiche candidate e non tutte in posizione utile per essere elette.
– Ma l’estate è ancora lunga – continuò la cicala – e l’inverno ancora lontano. Non preoccuparti adesso, ci sarà tempo più avanti per programmare lavoro, sanità e… tasse!
La formica scosse un po’ la testa e continuò imperterrita il suo lavoro, senza più badare alla cicala, lo sapeva che sempre con gli aumenti delle tasse si andava a parare. La formica non era contraria alle tasse, ma era stanca che lei è le sue amiche dovevano lavorare e pagare le tasse e che le cicale non trasformavano quei soldi in servizi efficienti.
– Fai come vuoi, formica mia. Io intanto mi godo questa meravigliosa giornata standomene qui rilassata a parlare delle cose che non vanno, a sparare soluzioni improbabili, ad invocare la presidenza del consiglio di super cicale che non si metteranno mai nemmeno una volta a parlare con le formiche normali come noi – e la cicala riprese a parlare per un’altra campagna elettorale.
Ma i giorni e poi i mesi passarono veloci, le cicale più importanti e che sapevano parlare meglio vennero tutte rielette ed ecco che, puntuale, arrivò l’inverno, col suo freddo e col suo ghiaccio, non ci si poteva scaldare bene, il gas costava tantissimo è così pure l’elettricità, a scuola le formiche bambine andavano con tre maglioni, due paia di guanti, piumino pesante e non si potevano muovere con agilità e rimpiangevano quando dovevano portare solo una leggerissima mascherina, cinque ore ferme al freddo, povere formichine bambine: ma le cicale bambine dov’è andavano a scuola? Faceva freddo e le cicale vagavano per i campi e i prati e non trovavano nessuno con cui parlare, il governo era caduto e si doveva tornare a votare, arrabattandosi come potevano recuperando qua e là qualche formichiamo dispersa da convincere, e riparandosi dal freddo dove capitava perché per parlare non avevano nemmeno pensato che servissero più piumini e cappotti.
Vagando vagando, una sera in cui il buio era sceso molto presto, la cicala eletta in quel piccolo paesino sui monti, incontrò una piccola casetta con la finestrella illuminata. La cicala aveva tanta voglia di convincere almeno una persona a votarla così bussò alla porta.
La porta si aprì ed uscì la formica. Quella era la sua casetta costruita con fatica durante tutta l’estate, senza aspettare il bonus casetta promesso durante la campagna elettorale, dall’interno si sentiva arrivare un bel calduccio, perché la formica non aveva aspettato il governo, ma aveva conservato l’energia prodotta con le celle solari installate sul tetto e aveva messo una pala eolica vicino alla sua casa e un odorino di cibo molto invitante proveniva da casa perché aveva coltivato l’orto con acqua buona visto che il governo non aveva mai pensato di portare acqua pulita alle formiche che coltivavano la terra, perché l’acqua era affidata a una società di cicale.
– Buonasera signora cicala, cosa ti porta qui da me?
– Buonasera signora formica – rispose tutta infreddolita la cicala, tremando nel leggero cappottino che aveva addosso. – Ho freddo, ho fame e non ho un tetto dove passare la notte, non mi hanno nemmeno candidato perché hanno ridotto il numero
delle cicale che comandano.
La formica guardò la cicala con compassione. – Ah signora cicala, come ricordo bene le calde giornate d’estate in cui, parlavate e ci riempivate di chiacchiere, ci promettevate che ci avreste fatto stare meglio, mentre io non ci avevo creduto e faticavo per metter via provviste per l’inverno, comprare medicinali e curarmi per non andare in ospedale, tu, beata sul tuo ramo al fresco e all’ombra, cantavi cantavi e cantavi… e promettevi promettevi promettevi. Poi voi cicale ci siete bisticciate è il governo è caduto, e non sei stata ricandidata. Beh, facciamo così: entra, per questa volta ti aiuterò e ti darò da mangiare e un letto per dormire. Tu però prometti che la prossima campagna elettorale mi aiuterai veramente, a programmare una vita migliore per i prossimi anni. La cicala, imparata la lezione, promise che avrebbe fatto la brava e ringraziò di cuore la formica per l’aiuto ma rimase sempre una civale e chi ci crede che sarebbe cambiata. Le civale non cambiano o meglio cambiano le cicale ma a comandare ci sono sempre cicale. Morale: la politica di deve svegliare e migliorare, programmare il futuro è diverso che cantare la canzone per una breve campagna elettorale.
Vincenzo Stile, liberamente tratta e ispirata dalla famosa fiaba, La cicala e la formica