Se il risultato del 25 settembre confermerà il sondaggio della Ghisleri, con Fratelli d’Italia che doppia Lega e Forza Italia, non c’è il minimo dubbio che Giorgia Meloni sarà incaricata da Mattarella di formare il nuovo governo.
Dopodiché inizierà il ballo di San Vito. Finora i tre caballeros del centrodestra non hanno squadernato un’idea o un progetto o un nome che li veda uniti. Tutti contro tutti.
Dalla guerra in Ucraina (no all’invio di armi per Salvini, mentre Giorgia calza l’elmetto della Nato) all’immigrazione (blocco navale per la Ducetta mentre il Truce rispolvera i suoi decreti sicurezza), con il leghista che sogna Quota 41 per i pensionati, mentre l’altra no.
E poi una è favorevole ai rigassificatori e l’altro nicchia. E chissà l’eroe del Papeete cosa pensa (di male) della Ducetta che ogni giorno si scioglie per l’Agenda Draghi, timorosa com’è che le istituzioni europee possano decidere di chiudere i rubinetti del Pnrr e della Bce agli amici di Vox, Le Pen, Orban, Afd.
“L’ultima lite”, scrive Lorenzo De Cicco su “Repubblica”, “è sull’immunità parlamentare. FdI, con l’ex magistrato Carlo Nordio, papabile per il ministero della Giustizia in quota Meloni, vorrebbe reintrodurla: «Aveva ragione Bettino Craxi», dice. La Lega ha replicato con Giulia Bongiorno, che Salvini vorrebbe Guardasigilli proprio al posto dell’ex procuratore: «Non è nel programma»”.
Alla linea politica contrapposta occorre aggiungere i problemi che nasceranno sulla divisione del potere. A partire dalla scelta del presidente del Senato (il “Banana” tentenna ad accettare lo scranno perché dovrebbe vivere e lavorare a Palazzo Giustiniani lontano dalla sua Arcore), passando per i ministri (se la Meloni propone Panetta al Mef, Salvini lo boccerà perché è anti Flat Tax), per finire alla cuccagna delle partecipate di Stato, i cui vertici sono in scadenza ad aprile 2023: Eni, Enel, Poste, Leonardo, Snam, eccetera, compresa Fincantieri (il recente arrivo di Pierroberto Folgiero al posto di Giuseppe Bono non è stato gradito per niente dalla destra)
Ecco perché non è detto che Mattarella dia l’incarico alla coalizione vincente – e l’ha fatto presente, affiancato dal consigliere Giovanni Grasso, nel recente incontro riservato che ha avuto con il direttore di “Repubblica” Maurizio Molinari.
A quel punto, visto le visioni contrapposte dei tre partiti, conclamata la loro mancanza di unità di intenti, il Capo dello Stato può decidere di dare un incarico esplorativo al partito che ha raccolto più voti. A 24 giorni dalle urne, in base a tutti i sondaggi, è quello di Donna Giorgia – ed ecco perché Enrico Letta si sbraccia tanto affinché il Pd sia il primo. Del resto, non è un copione inedito: l’abbiamo già vissuto nel 2018. Vi ricordate quando la coalizione si presentò alle consultazioni del Quirinale, con Salvini trionfante di voti al centro che tuonava affiancato da una muta Meloni e da un degradato Berlusconi che lo perculava con smorfie e sghignazzi.
All’epoca Mattarella diede un incarico esplorativo al presidente della Camera, il grillino Roberto Fico, che fallì miseramente. Dopodiché, Salvini abbandonò al suo destino i compagni di coalizione, Meloni e Berlusconi, e dette vita al governo gialloverde, Lega-M5s, con Giuseppe Conte premier a sua insaputa.
Un ticket governativo che non fece di certo felice Mattarella ma, al di là delle sue idee politiche, ciò che conta per la Mummia Sicula è il raggiungimento di una maggioranza omogenea.
I mal-destri son fatti così: si presentono uniti e si combattono disuniti. L’ultimo incontro faccia a faccia della triade risale alla colazione nella villa romana di Berlusconi che sancì l’addio al governo Draghi.
Anche il recente incontro a Messina con tanto di foto di Salvini e Meloni abbracciati e sorridenti, voluto insistentemente da Ignazio La Russa (unico anello di collegamento tra Lega e FdI), si è svolto alla presenza di oltre venti persone apparecchiate in un ristorante: i due non sono mai rimasti soli un attimo a discutere sul futuro.