Gennaro Orlando, che per la volontà di ritrovare le testimonianze della sua città, raccolte in seguito in un’opera organica e documentata, cioè la “Storia di Nocera de’ Pagani ” in tre volumi, può essere definito a pieno titolo il primo storico della città di Nocera. Infatti, i resoconti sintetici compilati durante il 1600 dal vescovo Simone Lunadoro e dal monaco Elia Marugi raccoglievano, anche se con grande merito, quello che i due autori poterono conoscere dalla lettura degli scrittori antichi e soprattutto da tradizioni incontrollate. Gennaro Orlando, invece, in sette anni di studi difficili e faticosi riuscì a restituire la memoria storica della città di Nocera in tutti i suoi sviluppi gloriosi e dolorosi.
Con fermezza e capacità, riuscì a mettere insieme le testimonianze degli scrittori antichi e i primi risultati degli scavi archeologici effettuati nella città di Nocera; le cronache medievali e le pergamene dei monasteri; le carte gelosamente custodite delle antiche famiglie locali e i registri dei notai; le tradizioni orali e le delibere dei Parlamenti delle Università di Nocera. Per la sua ricerca sicuramente cercò e utilizzò ogni indizio storico che indicava la sua amata città. Anche se dopo un’attenta lettura si evidenziano alcuni limiti, in parte oggettivamente giustificabili con l’epoca in cui la sua opera fu scritta e con l’impossibilità di accedere a determinate fonti storiche, questi non negano la validità della narrazione. Piuttosto, a Gennaro Orlando si può addebitare che l’impianto dell’opera abbia un carattere eccessivamente “politico”, narra cioè con grande quantità di particolari le vicende politiche, belliche, amministrative; e solo di sfuggita ci fornisce alcune indicazioni, che invece avrebbero oggi una particolare importanza, come l’economia, la vita quotidiana nelle varie epoche, informazioni più precise sull’arte, sulla spiritualità popolare e sui personaggi famosi che frequentarono la città di Nocera. Ad ogni modo, a distanza di oltre un secolo e nonostante i progressi delle scienze storiche, la “Storia di Nocera de’ Pagani ” di Gennaro Orlando resta il punto di partenza insostituibile per tutti quelli che o con passione o con approssimazione o con competenza vogliono narrare la storia dell’antica Nocera.
Chi era dunque Gennaro Orlando? Con un aspetto austero e uno sguardo penetrante che incuteva rispetto, Gennaro Orlando nacque a Gragnano, nella casa di campagna di famiglia, nell’aprile del 1846. I suoi genitori, entrambi di Nocera, erano Giuseppe Orlando, noto avvocato, e Anna Maria Sasso del Verme, di antica famiglia patrizia originaria della Costa d’Amalfi. Crebbe in una famiglia di tradizione liberare. Suo padre, infatti, uno dei protagonisti della scena politica nocerina anche nel turbolento 1848, fu affiliato prima alla Giovane Italia e dopo all’Unitaria, associazione politica che faceva capo al Marchese di Villamarina; in precedenza suo nonno, il notaio Andrea Orlando, aveva aderito alla Carboneria (cfr. Alla Ricerca del tempo perduto: Gennaro Orlando, a cura dell’A.N.D.E., sezione dell’Agro Nocerino, Nocera Inferiore 2001, p. 5). Sin da bambino fu indirizzato dal padre e dallo zio, il canonico Gennaro Orlando, sapiente e rigoroso maestro di molti rampolli delle più importanti famiglie aristocratiche napoletane, agli studi classici e storici. All’età di dieci anni rimase orfano della madre e ancora adolescente, affascinato da Garibaldi, il brillante Eroe in cui riponeva tante speranze, non esitò a unirsi all’esercito garibaldino negli ultimi giorni della resistenza borbonica. Il suo generoso slancio gli valse in seguito l’iscrizione all’albo delle Guardie d’onore del Pantheon (cfr. Gennaro Orlando, Ricordi Nocerini: Settembre 1860. Stabilimento grafica industriale Landolfi, Nocera Inferiore 1910). Poco dopo questo gesto patriottico, Gennaro Orlando rimase orfano anche del padre perciò si trasferì a Napoli, ospite di uno zio materno, per proseguire gli studi. Durante questo periodo la nostalgia della sua città lo assaliva ogni giorno. Dopo qualche anno ritornò a Nocera e nel 1868 sposò una giovinetta paganese, Clementina Tortora, da cui ebbe diversi figli. Il suo spirito liberale lo condusse a cimentarsi nella libera imprenditoria realizzando così una tipografia nella sua casa, in via Fucilari ma non ottenne i risultati che si aspettava. Probabilmente il nostro intellettuale non era un imprenditore dotato di senso pratico, perciò dovette rinunciare all’editoria dopo aver investito un notevole capitale. Non ancora convinto di ciò, in seguito si cimentò nella botanica in particolare nella produzione di una varietà di camelia profumata. La scienza, però, non aveva ancora raggiunto i traguardi odierni pertanto anche questo investimento fu sconveniente. Dopo queste delusioni, Gennaro Orlando ritornò ai suoi studi e poi si dedicò all’insegnamento. Nel 1886, infatti, divenne direttore della Scuola tecnica Francesco Solimena, presso la quale aveva già insegnato e continuò a insegnare italiano, e si adoperò per ottenerne prima il pareggiamento e poi la regificazione. All’epoca la scuola era situata nel palazzo Benevento al Vescovado, poi fu trasferita nel quartiere di Capocasale. Gennaro Orlando era molto stimato dalla classe intellettuale nocerina.
Egli faceva parte di una sorta di cenacolo culturale composto dal Console Nicola Bruni, il neuropsichiatra Domenico Ventra, e spesso s’incontravano in casa del Barone Vincenzo Calenda di Tavani, Senatore del Regno e Procuratore Generale della Cassazione di solito assieme al fratello, Andrea Calenda, letterato e autore di: “Ramondello Orsino”, “Tre famiglie del napoletano nel secolo che muore” , “O tempora o mores” che attendono ancora di essere conosciute. I molteplici interessi culturali ci rivelano una personalità poliedrica di Gennaro Orlando. Nel chiuso della sua biblioteca egli si presenta come scrittore, filologo, storico, commediografo. Negli anni giovanili, infatti, Gennaro Orlando scrisse, in breve tempo, molte commedie: “Tirare e mollare”, “Ad ogni uccello suo nido è bello”, “Zimbello e paretaio”, “Lucia”, “Gli scontenti”, “La famiglia Brunetti ”, “L’educazione della donna”, “Chi perde ha torto”, “Un uomo d’arme nel 1500”. All’epoca esse ebbero sicuramente successo, considerando che furono messe in scena nei teatri di molte città italiana da note compagnie grammatiche, come Bellotti Bon e Novelli. Tuttavia ancora oggi possono piacere grazie all’innato e spiccato senso dell’umorismo dell’autore, che sapeva cogliere l’aspetto comico delle situazioni e stilettare, con amabile garbo o pungente ironia, le debolezze umane, soprattutto quelle della classe borghese, che fu presa di mira con i suoi vizi, ambizioni segrete, snobismi, pudori e vanità. Tra queste commedie il maggior successo lo raggiunse con “Gli scontenti ”, che la compagnia Bellotti Bon rappresentò per la prima volta, nell’ottobre del 1878, al teatro Sannazzaro di Napoli e poi portò in tournée a Palermo, Torino, Genova e Roma. Nel novembre del 1900 la commedia approdò a Nocera Inferiore, dove fu rappresentata dell’Associazione filodrammatica nocerina, la cui sede era nel palazzo municipale (cfr. Alla Ricerca del tempo perduto: Gennaro Orlando, a cura dell’A.N.D.E., sezione dell’Agro Nocerino, Nocera Inferiore 2001, pp. 17-18). Fu anche un brillante conferenziere: “La Moda ed i suoi capricci ”, tenuta al Circolo filologico di Napoli e “Nocera ai tempi di Masaniello”, tenuta alla Sezione nocerina della “Dante Alighieri”. L’impegno scolastico non impedì a Gennaro Orlando di portare avanti la sua produzione letteraria, infatti, egli continuò a pubblicare opere come ad esempio, un piccolo dizionario dei sinonimi, racconti storici, articoli per giornali e riviste autorevoli. Rimasto vedovo, nel 1909 si risposò, ma il secondo matrimonio non fu felice. Gennaro Orlando era un uomo di grande bontà e generosità, un burbero benefico, ma, a volte, capace di collere terribili, che facevano subito pentire chi, incautamente, le provocava. Amava i fiori e gli animali. Coltivava piante esotiche e molte varietà di rosa e di camelia nel suo splendido giardino segreto, protetto da un alto muro di cinta. Difendeva e raccoglieva i cagnolini abbandonati; li curava tutti con amore, ma il suo preferito era Top, che lo seguiva ovunque. Negli ultimi anni di vita, piuttosto malandato in salute, raggiungeva la scuola con una vettura. I numerosi alunni, assiepati all’ingresso, si dividevano in due ali e lo lasciavano passare in religioso silenzio. Nonostante i malanni, non rinunciò mai agli studi prediletti, né all’attività letteraria, e continuò a scrivere. Nella sua ricca biblioteca continuò a trascorrere molte ore della sua giornata con i suoi libri, dialogando con i grandi uomini del passato, in particolare quelli a lui più affini, che non lo delusero mai e lo consolarono nei momenti più difficili. Morì a Nocera il 3 ottobre del 1912 e molta fu l’impressione nella città. Era morto l’uomo che aveva dedicato la sua vita alla scuola, come educatore e alla sua terra, studiandone la storia e onorandola con le sue opere.