La follia come stato naturale dell’essere: questo il leitmotiv delle opere di Stefano Redaelli, docente di letteratura italiana alla facoltà di Arti Liberali dell’Università di Varsavia, autore dei romanzi “Beati gli inquieti” e “Ombre mai più”, editi per Neo Edizioni. Il professore è stato ospite ieri sera nell’Aula Consiliare del Comune di Nocera Inferiore per un dialogo sul tema della follia e della salute mentale a partire dai suoi romanzi.
Il viaggio dell’autore in questi spazi liminali della società inizia nel 2007, quando un’amica dell’autore gli consegnò i diari scritti durante un’esperienza in una struttura per pazienti psichiatrici in Abruzzo con l’idea di trarne un romanzo per un concorso letterario.
«Sono dell’idea che sia sempre meglio scrivere a partire da un’esperienza,» dichiara Redaelli. «Un romanzo che viene in qualsiasi misura da un’esperienza ha un colore, una temperatura, una genuinità diversa da quelli puramente costruiti. Essere figlio di medici mi ha sicuramente dato un vantaggio perché ho potuto scegliere una struttura alla quale avvicinarmi per mettermi in ascolto.»
I romanzi di Redaelli nascono proprio da questa posizione. L’autore si è inserito in una struttura con l’idea di prendere spunto dalle vicende quotidiane del luogo. «Mi sono trovato ad un bivio. Osservo? Immagino? Ascolto? Alla fine, quando i pazienti hanno capito che non ero un medico o un osservatore, ma uno scrittore, sono stati felici di raccontarmi la loro quotidianità come si farebbe con un amico,» racconta l’autore.
L’incontro con la letteratura è un amore tardivo per Redaelli, che solo a 35 anni ha iniziato ad avvicinarsi agli studi che diventeranno poi la sua quotidianità. In particolare, la filosofia di Foucault è ispiratrice, con le sue riflessioni sulla follia come voce ridotta ad associazioni con la miseria, la criminalità e il disagio, e per questo poi soffocata.
«Parlare di follia è un rischio. Prima di incontrare il professor Redaelli, avevo letto alcuni romanzi sul tema e li ho trovati un po’ melodrammatici, quasi caricaturali,» ha commentato Francesco Coscioni di Neo Edizioni. «Non sempre è facile rendere lo sguardo del folle, che da sempre è stato un mio timore perché non avevo gli strumenti per comprenderlo, ma anche grazie a questi romanzi ho imparato a far pace con la follia.»
Parlare di follia nel contesto dell’agro nocerino-sarnese riporta alla luce un importante pezzo di storia del territorio: l’ospedale psichiatrico “Vittorio Emanuele II”, struttura capofila dell’ambito in provincia di Salerno, fortemente voluto dal dottor Federico Ricco e diretto poi da Marco Levi Bianchini, tra i pionieri della psicoterapia in Italia.
All’indomani della Legge Basaglia è lecito domandarsi: dov’è finita la follia? E proprio questa diventa la ricerca di Redaelli, che nel suo dittico narrativo propone la storia di un infiltrato in una struttura, che deve fingersi paziente e instaurare rapporti con gli altri ospiti per raccontare al meglio quella realtà. Il romanzo, pur avendo dei punti in comune dell’esperienza dell’autore ed essendo narrato in prima persona, non è un romanzo autobiografico ma un viaggio all’interno di personalità attinte dal carosello umano di cui Redaelli è stato testimone e partecipe. Tra le voci più importanti nel romanzo quella di Angelo, l’interlocutore primario del protagonista, e quella di Marta, che ha un suo spazio autonomo all’interno della narrazione.
«C’è un dettaglio che mi è rimasto impresso quando ho letto gli scritti di Alda Merini, e che ho voluto trasferire sui miei personaggi,» ha dichiarato l’autore. «Agli occhi degli altri non era l’autrice due volte candidata al Nobel. Era solo la pazza della porta accanto.»