C’è una svolta dietro l’angolo nel percorso che porta al congresso del Pd: Andrea Orlando sta valutando seriamente di candidarsi alla segreteria. Ci pensa da giorni, ne sta parlando con diverse personalità del mondo degli ex diesse del Pd (e non solo), e punterebbe le sue carte su un ampliamento della base elettorale con il percorso di apertura e porte spalancate annunciato da Enrico Letta. L’ipotesi della sua candidatura rimbalza tra i parlamentari dem di vecchio e nuovo conio assiepati alla Camera per l’assemblea plenaria.
“Reagire subito all’assedio” Nel suo ultimo post, Orlando dice infatti che «il vero congresso si compie definendo la piattaforma dell’opposizione: bisogna individuare subito le parole d’ordine delle urgenze sociali e delineare una riforma del modello di sviluppo». Poi parla di «una tenaglia, una sorta di assedio anche mediatico, al Pd, con una tentazione di Opa ostile di Calenda e dei 5stelle, un quadro che deve preoccupare, al pari di quello sociale». Discorsi programmatici dunque.
Del resto, con la sua discesa in campo la geografia congressuale sarebbe più completa: il ministro del Lavoro uscente risulterebbe il candidato della sinistra dem, sfidando così Stefano Bonaccini, sponsorizzato dall’ala liberal, Base Riformista di Lorenzo Guerini. Con un terzo concorrente, il sindaco di Firenze, Dario Nardella, spinto a candidarsi non solo da Dario Franceschini a cui è molto legato, ma gradito anche a Enrico Letta. Ancora sub judice la candidatura di Elly Schlein, come sub judice sarebbe quella del ministro per l’Europa, Enzo Amendola, mentre la prima in ordine di apparizione, quella di Paola De Micheli, è confermata.
Una girandola di nomi che allo stato si concluderà con una sfida a due, ovvero i primi in ordine di arrivo nei congressi di circolo che scremeranno con un voto i diversi candidati alla segreteria: sulla carta potrebbe dunque esserci un duello Orlando-Bonaccini. Su due linee politiche diverse.
Con M5s scambio di poltrone Nel Pd c’è però chi pensa agli assetti dell’opposizione in parlamento e quell’uomo è Dario Franceschini. Raccontano i colleghi che il suo schema di gioco prevede un accordo con i 5stelle per le cariche di garanzia, ovvero la presidenza del Copasir, (Lorenzo Guerini o Enrico Borghi in pole) e la commissione di Vigilanza Rai (Stefano Patuanelli o Ettore Licheri). Una voce colta al volo da Matteo Renzi, che tuona contro «una spartizione dei ruoli di garanzia contro il diritto del Terzo polo, creando una lesione istituzionale». I maligni spiegano che al ruolo di presidente della Vigilanza ambirebbe Maria Elena Boschi, il cui nome non sarebbe sgradito a Berlusconi.
Ma a queste ipotesi di accordi Pd-M5s si aggiungono quelle che vedrebbero i due maggiori partiti di opposizione pronti a chiedere anche una vicepresidenza della Camera (Nicola Zingaretti in pole) e una del Senato a testa (Graziano Delrio), o in subordine la carica di questore del Senato al Pd, che andrebbe a Bruno Astorre, molto vicino a Franceschini. Il quale a sua volta resterebbe fuori dai ruoli apicali o assumerebbe la presidenza della Giunta per le elezioni e per l’immunità del Senato.
E in questo rimestìo di voci, resta quella di due nuove capigruppo, Anna Ascani e Valeria Valente, ma risalgono le quotazioni delle due capigruppo uscenti, Debora Serracchiani e Simona Malpezzi. Enrico Letta dirà la sua entro domenica, alla vigilia del voto (segreto) sui capigruppo. Intanto ieri ha chiesto agli eletti «un giuramento: bisogna riporre i gradi di chi ha governato e amministrato il potere e vestire i panni dell’opposizione, sempre presenti. La luna di miele finirà, la maggioranza si sfalderà e noi dobbiamo farci trovare pronti». –