Lo scorso 15 ottobre è stata celebrata in tutto il mondo la Giornata dei bambini mai nati, una ricorrenza che vuole ricordare tutti quei piccoli che non hanno mai visto la luce per un aborto spontaneo, per un aborto volontario nelle prime settimane o per morte in utero.
Che questa ricorrenza sia particolarmente sentita lo si è visto sui social: tanti post, soprattutto di donne, che hanno voluto condividere il ricordo di quei bambini mai nati, ma che hanno un nome e rimangono figli. Per sempre.
Questa constatazione è vera anche, e forse soprattutto, se la morte del bambino è avvenuta improvvisamente nelle prime settimane di gestazione e il motivo è che in questa fase della gravidanza – quando la presenza del bimbo è spesso ancora mantenuta riservata – si fa fatica, a livello sociale, a riconoscere che dentro il corpo della donna ci sia un figlio. Eppure la mamma, che magari è ancora nella fase ambivalente lo voglio/non lo voglio e vive le giornate tra euforia e paura, istintivamente sa che quella che sta prendendo corpo (letteralmente) dentro di lei non è una vita qualunque. Non è una vita sostituibile. È il suo bambino, la sua bambina.
Dire a una donna che ha subito il lutto della perdita di un figlio in grembo frasi quali: «Sei giovane, ne farai un altro», oppure «Hai già altri due splendidi bambini, evidentemente questo non doveva nascere» e simili è assolutamente fuori luogo. Pensiamoci: diremmo mai frasi simili a una mamma che ha perso un figlio nei primi anni di vita? No. E lo stesso vale per chi ha perso un bambino prima della nascita, anche se magari alle primissime settimane.
Riflettere e pregare non hai mai fatto male a nessuno, approfittiamone!
Annalisa Capaldo