A Nocera de’ Pagani l’Ordine dei Domenicani, tra il 1500 e il 1600 era al suo apice grazie soprattutto all’attività di due frati domenicani originari proprio di Nocera de’ Pagani, che per i loro meriti nel corso della loro carriera ricoprirono anche cariche fondamentali all’interno dell’Ordine stesso. Si tratta di Domenico Perrino e di Serafino Rinaldi. Domenico Perrino, ricordato nella maggior parte delle fonti storiche come fra Domenico da Nocera, discendeva da una delle più antiche famiglie nobili di Nocera de’ Pagani. Infatti, la famiglia de Perrinis, de Perrino o Perrino compare già nel 1129 in una pergamena conservata nell’Archivio cavese, nella quale si parla di beni che possedeva in contrada Passiano un certo Alfano Pirino (cfr. Michele De Santi, Memorie delle famiglie nocerine, Stab. Tip. Lanciano e D’Ordia, Napoli 1893. Ristampa anastatica dell’edizione di Napoli, 1887-1893 per conto della Libreria Antiquaria Editrice, W. Casari – Testaferrata, Salerno, volume I, pag. 347).
Domenico Perrino nacque a Nocera de’ Pagani probabilmente intorno alla prima metà del 1500 e, vestito il saio candido di San Domenico, divenne un profondo conoscitore sia di teologia sia di diritto canonico. Insegnò teologia nella rinomata scuola di San Domenico Maggiore di Napoli di cui fu a capo con il grado di Maestro Reggente. Di questo convento ricoprì l’incarico di Priore fino a quando non fu eletto Priore Provinciale. Mentre era Priore, fu mandato quale Fondatore delle Congregazioni del SS. Rosario, nella Diocesi di Capua. Dopo una stimata carriera morì a Napoli nel 1607 (cfr. Catalogo degli uomini illustri figli del real monistero di San Domenico Maggiore composto da Vincenzo Gregorio Lavazzuoli, Reggente in San Domenico Maggiore, nella stamperia di Giuseppe de Dominicis, Napoli 1777, pag. 53). Con il grado di Maestro Reggente, Domenico Perrino intervenne al Capitolo generale dell’Ordine che si tenne nel 1592 a Venezia e, anche se ancora molto giovane, si fece accompagnare da Serafino Rinaldi promettente teologo, del quale tratteremo più avanti.
L’evento eccezionale di questa circostanza fu l’incontro con Giordano Bruno. Infatti, l’arrivo a Venezia di Giordano Bruno coincise con il Capitolo generale dell’Ordine per cui ebbe occasione di incontrare alcuni suoi vecchi confratelli come dichiara egli stesso: “Del che a questo Capitolo, fatto ultimamente qui questi giorni passati, dove erano molti padri napolitani dell’Ordine, ne ho trattato con alcuni de loro; et in particulare col padre reggente fra Dominico da Nocera, padre fra Serafino baccilier da Nocera, et con fra Gioanni, che non so de che loco sia, ma è del Regno de Napoli, et un altro, che lui ancora era uscito dalla religione, ma pocco fa ha pigliato l’habito, che è da Atripalda, che io non so il nome, in religione dixit si chiama fra Felice” (cfr. Luigi Firpo, Il processo di Giordano Bruno, Salerno Editrice, Roma 1993, pag. 163). Già, ma cosa faceva a Venezia Giordano Bruno in quel periodo? Nella primavera del 1591 Giordano Bruno, fu raggiunto da due lettere del nobile veneziano Giovanni Mocenigo che lo invitavano a Venezia per insegnargli l’arte della memoria. Poiché Giovanni Mocenigo, che ospitava a casa sua Giordano Bruno, non era ancora soddisfatto dal profitto che ricavava dagli insegnamenti del filosofo, forse perché pensava che questi non volesse metterlo a parte delle sue conoscenze, come si dovrebbe dedurre dall’insistenza con la quale cercò di trattenerlo quando il filosofo gli comunicò la sua intenzione di partire per Francoforte e dalla violenza che usò. Infatti, la notte del 22 maggio 1592, lo fece rinchiudere dai suoi servi in un solaio di casa sua, e il giorno seguente lo denunciò all’inquisitore di Venezia. Arrestato, il 26 maggio il filosofo tenne il suo primo interrogatorio d’innanzi alla commissione dell’inquisizione e in quella circostanza affermò la sua volontà di riavvicinarsi al Santo Padre così come aveva già confidato nei giorni precedenti al domenicano Domenico Perrino. Giordano Bruno, dunque, incontrò i domenicani giunti dalla Campania nei giorni che precedettero questo drammatico evento, ai quali manifestò il proposito di riconciliarsi con la Chiesa. In modo particolare ne parlò con fra Domenico Perrino, che aveva già conosciuto a Napoli nel 1572. Questa dichiarazione di Giordano Bruno fatta al tribunale dell’inquisizione non passò inosservata perché il 31 maggio del 1592 fra Domenico Perrino fu convocato dinanzi all’inquisitore di Venezia, alla presenza del Provinciale di Terrasanta, del Provinciale di Venezia e altri padri, per riferire sul suo dialogo con Giordano Bruno.
Ecco, dunque, la deposizione di fra Domenico Perrino: “Io Domenico da Nocera de l’ordine di predicatori de la provinzia del Regno, e reggente nel Studio di San Domenico da Napoli, per la presente dico come hogi, 31 di magio 1592, nel convento di San Ioanne e Polo, incontratomi con il molto reverendo padre Inquisitore di Venegia, mi chiamò e ne la presentia del molto reverendo provinciale di Terrasanta e del molto reverendo provinciale di Venegia e d’altri padri mi fa un precetto: che io dovesse porre in carta si io avesse parlato ad un fra Iordano di Nola qui in Venegia e che m’havesse decto. Al che io volenno hobedire, rispondo e dico, che un giorno di questo mese di magio proximo alla santa festa de la pentecosta (17 maggio), oscianno da la sacrestia in la chiesa di Ioanne e Polo, mi vedi fare reverenza da un secolaro, quale io prima fronte non ben cognobi; poi al ragionare venni in sicortà che l’era un che fo frate nostro in una provincia del Regno, licterato, e che si dimannava fra Iordano di Nola. E cossì ci ritirassimo in un loco de la chiesa sodecta, ove mi narrò la causa e la partenza da la nostra provincia, e de lo haversi levato l’abito a causa che ne fosse stato privato da un padre fra Domenico Vita, allora provinciale, per quello che si diceva; con dirmi di tanta regni ch’haveva camminato e corte regale, con li exercitii importanti in le lectere, ma che sempre aveva vissuto cactolicamente. Et io dimannannole che faceva in Venegia e come viveva, mi dixe che pochissimi giorni l’era gionto a Venegia e che da sé haveva da vivere comodo, e che teneva pensiero risoluto quetarsi e dare opera a compore un libro che teneva in mente, e quello poi, con mezi importanti di favore accompagnato, appresentarlo a sua Beatitudine; e da quello octener gratia di quanto l’havesse expresso per quiete di sua consciencia; e vedere al fine di posserse ristare in Roma, et ivi darsi a l’exercitio licterale e mostrare la sua virtù e di accapare forsi alcuna lectura. Questo l’è quanto in conclusione mi ragionò, e tanto io anco dico e confesso per la presente: scripta e soctoscripta de mia propria mano, die et anno ut supra etc. Io fra Domenico da Nocera confesso quanto di sopra, mano propria etc.” (cfr. Anacleto Verrecchia, Giordano Bruno, Donzelli Editore, Roma 2002, pag. 235). Dopo questo episodio Giordano Bruno e Domenico Perrino non si incontrarono più.
Serafino Rinaldi, comunemente conosciuto sotto il nome di fra Serafino da Nocera, nacque a Nocera de’ Pagani intorno alla seconda metà del 1500 e indossò l’abito dell’Ordine dei Domenicani nella chiesa di San Pietro Martire di Napoli intorno al 1575.
L’antica famiglia de Raynaldo o di Rinaldo fu una delle prime famiglie patrizie di Nocera ed era congiunta da vincoli di sangue a varie fra le più grandi famiglie patrizie di Napoli (cfr. Michele De Santi, op., cit., Volume II, pag. 391). Serafino Rinaldi fu uno dei più dotti uomini del suo tempo nella teologia “insignis Theologus Domenicanus”, infatti, sebbene molto giovane e appena baccalaureato, nel 1592, come già accennato, accompagnò a Venezia il suo maestro fra Domenico Perrino e disputò in materia di teologia in quel Capitolo generale. Le sue trattazioni, soprattutto per la loro validità, furono accolte con favore dai padri convenuti in quel Capitolo generale che poco dopo furono raccolte e pubblicate a Venezia nel 1592 presso la stamperia di Giorgio Angelieri, in un libro dal titolo: Theses thomisticae. Nel 1615 su richiesta dell’Università di Sorrento Serafino Rinaldi scrisse la Defensione de’ Miracoli, e azioni mirabili di S. Antonio Abbate dell’ordine Benedettina, Protettore della detta Città, operate negli ossessi, contro maligni spiriti, con la quale si risolvono con l’autorità della Sacra Scrittura, e qualche anno dopo scrisse la Dottrina de’ Santi Padri le difficoltà insorte, che conservasi nel Regal Convento di S. Domenico, di Napoli (cfr. Nicolò Toppi, Biblioteca Napoletana et apparato a gli huomini illustri in lettere di Napoli e del Regno, presso Antonio Bulifon, Napoli 1678, pag. 278). Per ciò che riguarda la sua carriera, i frati di San Domenico Maggiore lo elessero due volte Priore del convento, quindi in Capitolo lo elessero Provinciale del Regno di Napoli (1619-21). Per ben due volte fu Reggente dello Studio generale, e Lettore di San Tommaso nello Studio pubblico. Il 4 aprile del 1627 fu nominato da papa Urbano VIII vescovo di Mottola ma non poté fare molto in questa Diocesi perché colpito da un gravissimo male abbandonò l’incarico e ritornò di nuovo a Napoli, dove morì il 29 settembre dello stesso anno.
A Napoli i funerali solenni si celebrarono nella chiesa del convento di San Domenico Maggiore con l’intervento dell’intero Collegio dei Teologi e da molti religiosi tra cui i Gesuiti così come attesta il Libro de’ Defunti di tale convento: “Die 29 mensis septembris 1627. Illustris. ac Reverendiss. Pater Frater Seraphinus Rinaldus de Nuceria, Ordinis Praedicator professor, Episcopus Motulensis, filius Conventus sancti Dominici de Neapolis, ex hac vita decessit. Fuit in studio s. Dominici de Neapoli celebris. Fuit bis Regens. Fuit publicus Lector in hac alma Civitate Neapolitana carus omnibus, ac dilectus. Fuit sepultus in sepoltura Fratrum, post aliquos dies celebratae fuerunt exequiae a toto Collegio Theologorum. Oratione funebri habita a quodam Patre Iesuita”(Teodoro Valle da Piperno, Breve Compendio de gli più illustri Padri nella Santità della Vita, presso Secondino Roncagliolo, Napoli 1651, pp. 318-319). Come Domenico Perrino, anche Serafino Rinaldi strinse amicizia ed ebbe a cuore le drammatiche vicende di un frate domenicano ribelle. Si tratta del famoso filosofo Tommaso Campanella. Il loro rapporto d’amicizia, infatti, durò più di un ventennio dal 1604 quando Campanella manda al Viceré Don Ferrante Ruiz de Castro Conte di Lemos, in nome di Serafino Rinaldi definendolo “curatoris mei amatissimi cui me ipsum quoque debeo”, un parere su un suo elaborato, il De regimine regni Neapolitani andato perduto. Ecco, dunque, cosa scrive il Campanella di Serafino Rinaldi nel suo Syntagma de libris propriis, art. terzo: “Sed postea convertens me ad politicam specialem regni Neapolitani, scripsi opusculum de illius regime ad Comitem de Lemos, nomine Magistri Seraphini Nucerini, curatoris mei amantissimi cui me ipsum quoque debeo” (cfr. Vito Capialbi, Documenti inediti circa la voluta ribellione di F. Tommaso Campanella, dalla tipografia di Porcelli, Napoli 1845, pag. 59). Campanella, dunque, nutrì una sconfinata e duratura stima e amicizia nei riguardi di Serafino Rinaldi che lo definisce “curatoris mei amatissimi cui me ipsum quoque debeo”, “mio curatore affezionatissimo cui devo anche me stesso” nel suo Syntagma de libris propriis. Serafino Rinaldi, inoltre, si preoccupò di far leggere pubblicamente a Napoli le Orationes de laudibus divi Thomae, quattro discorsi in onore di San Tommaso, scritti nel 1618 sempre da Tommaso Campanella (cfr. Michele Miele, Il “mio curatore affezionatissimo cui devo me stesso”: Serafino Rinaldi da Nocera e Campanella, in “Bruniana e Campanelliana”, a. XIII (2007, 2) Pisa 2008, pp. 497-519).