Che ve lo dico a fare, tanto è inutile dare consigli. Se poi non si sia un intellettuale, uno scrittore, e non si abbiano galloni correntizi o liberali o d’altro genere, e i consigli vengano da un cittadino al di sotto di ogni sospetto, tutto pare inutile. Invece no, credo di poter definire la formula unica per una convergenza delle opposizioni, per una divisione dei ruoli con visione incorporata, per la salvezza di tutto quello che non è la destra di governo, legittimata a fare e disfare ma up to a point, e soprattutto bisognosa di controlli e di alternativa politica realistica, dopo la cattiva performance nel malo uso della legge elettorale.
Qui tanti anni fa proponemmo per il Pd di Veltroni una vocazione maggioritaria e una concezione del partito come
tenda leggera per l’insieme dei progressisti, compresi i progressisti conservatori e non correttissimi, ma tutto si risolse in un 34 per cento mica male, con un primo accenno alla fine dell’antiberlusconismo fanatico (“il principale esponente dello schieramento a noi avverso”), e poi nella rivincita del caminetto delle correnti sulla vocazione, sul partito leggero, sulle primarie eccetera. Va bene, acqua passata. Ma da allora l’amalgama, che già era di dubbia riuscita, a parte la fase rottamatrice e intraprendente di Renzi, cancellata dalla storia accreditata e dannata addirittura dalla memoria, non ha fatto gran che. Non si è radicato, non ha federato, ha sbagliato alleanze, non ha saputo usare la legge elettorale, ha portato una maggioranza dei voti ad avere una minoranza dei seggi, e il draghismo benedetto non poteva compensare tutto quanto, ovvio. I postcomunisti e i cattolici democratici, le due anime del Pd, ora introspettivi e in convulsa consultazione per vedere se con una
Schlein possano ridimensionarsi alla francese, un partitino socialista-radicale-ambientalista da sei per cento alle
urne e da uno, uno e mezzo per cento alle presidenziali, hanno qualcosa che li può accomunare sul serio: il laburismo, il solidarismo, l’attenzione ai sindacati, al mondo del lavoro antico e nuovo, il rivendicazionismo sociale, che non esclude la comprensione di quel che è mercato e globalizzazione, ma sempre in una dimensione tendenzialmente egualitaria, fuori dalla clausola iperliberale che per il Pd non ha funzionato né tanto né poco.
Non so se con Bonaccini o con Provenzano o con Delrio o con Franceschini o con chi volete voi, ma qualcuno deve provare a rilanciare un’identità tranquilla e insieme combattiva di laburismo e solidarismo politico in rappresentanza di pezzi di società che ormai votano con voluttà a destra perché il populismo li rappresenta anche laburisticamente. E una cosa, con il contributo da ricercare della Cgil della Cisl e dei pensionati, è fatta. Nemmeno troppo difficile. Il partito liberale e riformista c’è. Calenda e Renzi gli danno voce. A volte è un po’frou frou, ma c’è, e sulla politica internazionale in tempo di guerra è anche molto più affidabile del dimostrante pacifista improvvisato Enrico Letta, per non dire delle proposte economiche e di pragmatismo di governo.