
I primi Cristiani non si chiamavano Cristiani ma “quelli della via” (in greco tes hodos), anche se in alcune versioni del Nuovo Testamento, questa terminologia è tradotta come “seguaci della dottrina di Cristo”. Questo lo possiamo cogliere dalla suggestiva definizione dei credenti in Gesù espressa da Luca nel suo secondo libro, gli Atti degli Apostoli. In un brano degli Atti (9, 1-2 )che sovrappone brillantemente senso letterale e senso metaforico, Luca narra dell’incontro di Paolo di Tarso col Risorto, lungo la via di Damasco, mentre vi si recava per arrestare e portare legati a Gerusalemme quelli della via, uomini e donne: “Saulo frattanto, sempre fremente minaccia e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme tutti quelli che avesse trovato, uomini e donne, appartenenti a quelli della via”. Qui, come anche in seguito (At 16, 17; 18, 25-26; 19, 9-23; 22, 4; 24, 14-22), i discepoli di Gesù sono detti, appunto, “quelli della via”. Avrebbe potuto definirli “i cristiani”, come fecero gli abitanti di Antiochia (At 11, 26). Una definizione chiara che, di fatto, si è imposta. Infatti, ancora oggi così sono nominati i credenti nel Dio di Gesù. Luca, invece, ci fa capire che non la ritiene decisiva: la presenta come un nomignolo coniato all’esterno della comunità dei discepoli e subito la lascia cadere, non citandola più nel seguito del racconto. Per quale motivo?
Perché definirli “cristiani”, sembra assolvere una funzione sociologica, volendo individuare all’interno della società un gruppo particolare. Come ci sono gli erodiani, che fanno riferimento a Erode, così ci sono anche i Cristiani, che si riferiscono a Cristo. Si accontenta di individuare un partito tra i tanti. Una riduzione pericolosa per una fede che vuole essere universale. Quell’etichetta non poteva proprio funzionare per l’evangelista Luca. Allora, avrebbe potuto chiamarli semplicemente “i credenti”, come del resto più volte fa (At 10, 45; 11, 2; 15, 5-30). Non è la fede a caratterizzare queste persone? L’incontro con Dio non è un’esperienza di fiducia totale, che mette in secondo ordine tutte le altre caratteristiche della biografia personale? Certo! Subito dopo, però, bisogna almeno precisare chi sia questo Dio del quale ci si fida, quale il suo volto e che cosa comporti credere in Lui. Nel suo primo libro, il Vangelo secondo Luca, il nostro autore non ha avuto timore di mostrarci l’ambiguità dell’esperienza credente. In sintonia con gli altri evangelisti, Luca narra della presunzione dei credenti, che si ritengono superiori agli altri, giusti per la loro fede e, dunque, non bisognosi di essere salvati (Lc 18, 9-14). I primi Cristiani, dunque, non avevano adottato un nome per definire se stessi, perché l’adozione di un nome specifico avrebbe caratterizzato un gruppo religioso, una religione di denominazione specifica o una setta, ma loro non erano nessuna di queste cose, poiché Gesù non venne per portare una nuova religione agli uomini e non fu il promotore di nessuna religione. Lui venne per mostrarci la via di ritorno al Padre attraverso i Suoi insegnamenti di Verità, lontani da tutte le religioni e da tutti i credi del mondo.
D’altra parte come non poter definire i primi Cristiani “quelli della via” se tutta la vita di Gesù si è compiuta in cammino tanto da poterlo definire “l’uomo che cammina”. Il suo cammino, infatti, inizia già dalla sua nascita avvenuta a Betlemme mentre Giuseppe e Maria da Nazareth si stavano recando a Gerusalemme per il censimento, come ci racconta l’evangelista Luca (2, 4-6): “Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazareth e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto”. Così come per tutto il suo ministero pubblico Gesù aveva condotto una vita itinerante. Lo vediamo sempre spostarsi da Nazareth al deserto, poi verso il Giordano, poi a Cafarnao e in tutti i villaggi della Galilea. Si recò nella regione della Samaria, poi nel territorio pagano di Cesarea di Filippo e infine lo vediamo intraprendere il suo ultimo viaggio attraverso le città della Giudea: il suo pellegrinaggio verso il Tempio di Gerusalemme. Èsulla strada che incontra le persone, le guarisce e suscita in loro la fede. È sulla strada che instancabilmente continua a insegnare e annunciare che Regno dei Cieli è vicino. È Gesù stesso che dice nel vangelo di Matteo (8, 20): “Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli del cielo hanno i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Anche nella stessa narrazione biblica ricorre frequentemente all’immagine della via. La storia della Salvezza, raccontata nelle Scritture, ha come protagonisti uomini e donne che percorrono le più diverse vie e che incontrano un Dio che ne apre altre, persino laddove a prima vista non si scorge alcuna possibilità di transito. Fin dall’inizio, il Dio d’Israele si presenta come Colui che mette in cammino. Che chiede ad Abramo di uscire dalla propria terra, di abbandonare la propria condizione stanziale per incamminarsi lungo una via che le sarà indicata strada facendo. Come dire: più che la chiarezza sulla meta, conta la disponibilità a mettersi per via. Per Israele il passaggio dalla polvere delle strade solcate con i propri passi alla luminosità della metafora che parla al cuore è avvenuto senza troppe forzature. Non ha comportato sforzi di pensiero, operazioni di conoscenze filosofiche poiché è stata l’esperienza vissuta in prima persona a suggerire il senso di un’immagine che parla non solo di piedi, ma dell’intera esistenza. La via, dunque, oltre a indicare un tracciato fisico, diventa sinonimo di scelta etica, di libertà in azione. Ecco perché Luca ha scelto di indicarci i discepoli di Gesù come “quelli della via”. Al riparo da definizioni troppo stringenti, da aggettivi troppo chiari, da segni di riconoscimento troppo esterni, Luca ci suggerisce che solo la via è essenziale. Perché è lungo la via che Gesù, “l’uomo che cammina”, ci viene incontro.