La tradizione popolare, avallata anche dallo storico nocerino Gennaro Orlando, ha ritenuto a lungo che San Prisco, primo vescovo della Diocesi di Nocera, fosse stato uno dei settantadue discepoli di Gesù che arrivò da Gerusalemme. A rafforzare questa tradizione, c’è anche la tradizione del martirio, avvenuto ai tempi di Nerone, dei santi nocerini Felice e Costanza. La loro origine fu molto dibattuta e la questione si chiuse definitivamente il 5 settembre del 1639 con un decreto della S. R. Congregazione nel quale si stabiliva in modo definitivo che i martiri Felice e Costanza erano originari di Nocera e che la loro festa si celebra il 19 settembre. È certamente più probabile, invece, che la Chiesa nocerina, intesa come organizzazione sul territorio di una gerarchia religiosa con a capo il santo vescovo Prisco, sia stata fondata verso il III – IV secolo d.C. Infatti, le ricerche archeologiche che si sono susseguite all’interno della Cattedrale di Nocera Inferiore, hanno portato alla luce il luogo nel quale furono sepolte le spoglie del santo. Il sarcofago strigilato (decorazione, formata da una sequenza di scanalature, incise solitamente su superfici marmoree) rimanda a esemplari napoletani noti del III – IV secolo d.C. Come pure i dati osteologici (esami delle ossa) erano pertinenti a un uomo anziano e di grande corporatura.
Tuttavia, i dubbi sulla storicità del vescovo Prisco sono stati allontanati definitivamente con la citazione di San Prisco nel carme XIX, vv. 515-518 di Paolino di Nola: “Forte sacrata dies illuxerat illa Beati/natalem Prisci referens quem Nola celebrant,/Quamvis ille alia, nucerinus Episcopus Urbe sederit”, “Splendeva allora quel giorno sacro che ricorda il natale di Prisco, che anche Nola celebra sebbene quello, come vescovo di Nocera, abbia avuto la sede in un’altra città”. I versi contenuti nel carme XIX di Paolino di Nola non ci dicono che San Prisco sia uno dei primi discepoli di Gesù, ma attestano che San Prisco è stato vescovo di Nuceria. I versi di questo carme, inoltre, sono una testimonianza importante anche perché devono essere considerati in assoluto la prima notizia del culto di San Prisco, vescovo di Nuceria. Ancora oggi si ritiene che il primo storico nocerino che ha riportato questa preziosa fonte nella sua maggiore opera sia stato Gennaro Orlando nel 1887. In realtà, giusto un secolo prima, questa importante fonte sulla storicità del vescovo Prisco è già presente in un’opera di un altro storico nocerino. Si tratta, infatti, del reverendo Giuseppe Messina che nel suo Novenario pubblicato nel 1787 quando parla del vescovo Prisco cita i versi del carme XIX di Paolino di Nola. Il primo vescovo di Nocera, dunque, era già da molto tempo un personaggio molto conosciuto non solo a Nocera ma in tutta la Campania se l’illustre Paolino di Nola ne ricordava la memoria in uno dei suoi fondamentali carmi. Chi ha tramandato, dunque, la sua storia giunta fino ai giorni nostri? Dopo una ricerca accurata risulta che il santo vescovo Prisco fino alla metà del 1500 fu totalmente ignorato dagli autori sacri poiché sono davvero poche e lacunose le notizie su questo personaggio. Infatti, la prima opera agiografica, degna di questo nome, del santo vescovo Prisco risale al 1562, e fu scritta dal frate nocerino Lucio Baldino teologo francescano (in merito alla famiglia Baldino di Nocera cfr. Michele de’ Santi, Memorie delle famiglie nocerine, Stab. Tip. Lanciano e D’Ordia, Napoli 1893. Ristampa anastatica dell’edizione di Napoli, 1887-1893 per conto della Libreria Antiquaria Editrice, W. Casari – Testaferrata, Salerno, vol. I, pag. 119-120). Quest’opera fu ritrovata in un antico Lezionario dell’Archivio Capitolare della Chiesa di San Matteo di Salerno da Paolo Regio, vescovo di Vico Equense, che dopo averla tradotta dal latino in italiano, la pubblicò nel 1593. Come fu possibile tutto questo interesse, apparentemente quasi improvviso, per San Prisco? Il Cinquecento e il Seicento, registrano in campo agiografico uno straordinario numero di iniziative editoriali sia di respiro universale sia di carattere nazionale, regionale e cittadino, che oltre a riunire in grandi raccolte a stampa passioni e vite di santi nelle loro lingue originali, avviano anche il processo di diffusione nelle lingue moderne. È l’epoca della risposta cattolica alla radicale contestazione della Riforma luterana e calvinista al culto dei santi e proprio nella documentazione dei santi antichi si cercano i motivi e temi per contraddire e controbattere le tesi del protestantesimo. È in questo quadro, quindi, che bisogna collocare l’impegno dei due agiografi di San Prisco. In realtà il primo e unico agiografo della vita di San Prisco fu soltanto Lucio Baldino perché Paolo Regio, anche se ebbe il merito di averla pubblicata tradotta in italiano, sicuramente per renderla più accessibile a tutti, si limitò semplicemente di tradurla e di copiarla omettendo di citare il vero autore facendo intendere così che quell’opera fu solo il risultato del frutto del suo lavoro. Molti anni dopo, però, fu fatta giustizia e la furbata fu scoperta. Infatti, anche se la storia della vita di San Prisco scritta da Paolo Regio, fu riassunta in parte, e vi aggiunse qualcosa di suo da Filippo Ferrario, anch’egli agiografo molto credibile morto nel 1626, che la pubblicò nel suo Catalogo dei Santi italici a Milano nel 1613, non convinse del tutto il famosissimo Jean Bolland che volle vederci chiaro. La dinamica di questa vicenda, in buona parte simile a un’indagine investigativa, si è rivelata molto coinvolgente che merita di essere approfondita. Verso la metà del 1600, ad Anversa, Jean Bolland assieme ai suoi collaboratori, mentre era intento a catalogare le numerose storie dei santi in suo possesso recuperate dopo faticose ricerche, gli capitò tra le mani la storia di San Prisco scritta da Paolo Regio che a una prima lettura gli parve un po’ fantasiosa. Infatti, c’era qualcosa che non tornava in quel racconto perché, conoscendo l’autorevolezza di Paolo Regio, Jean Bolland rimase sorpreso che, essendo ai primi secoli del Cristianesimo, come lasciava intendere il racconto, Paolo Regio non considerò che i cristiani non potessero manifestare apertamente il proprio credo religioso per evitare di essere perseguitati, il che giustificava la pratica, del vescovo Prisco, di celebrare la messa senza la presenza dei fedeli. Inoltre il racconto terminava senza fissare il secolo in cui San Prisco visse e morì e il nome del papa che avrebbe dovuto eventualmente condannarlo. Erano delle lacune molto gravi per un valido studioso di cose sacre come Paolo Regio. Non convinto, dunque, Jean Bolland si fece inviare la fonte originale, quella contenuta nell’antico Lezionario custodita nell’Archivio Capitolare di Salerno, dal suo più abile collaboratore Antonio Beatillo. Giunta la copia originale della vita di San Prisco in suo possesso, non ci volle molto per scoprire il mistero. A Jean Bolland gli bastò leggere il titolo e le prime pagine dell’opera per comprendere subito che Paolo Regio si era limitato solo a trascrivere il testo di Lucio Baldino senza verificare peraltro l’autenticità delle fonti storiche di quel racconto, cosa che fece lo stesso Jean Bolland. Poco tempo dopo, infatti, dopo aver esaminato le poche ma vere fonti storiche sulla figura di San Prisco, arrivò alla conclusione che il racconto era alquanto inverosimile per cui non poteva reggere alla critica e perciò: “Nos acta illa non judicamus praelo digna”, cioè che in pratica non volle tenerne conto. Alla luce della valutazione di Jean Bolland, tuttavia, possiamo dire che egli non nega la presenza storica di San Prisco, la cui grandezza si deduce dalla continua e plurisecolare devozione dei fedeli, ma la fantasiosa ricostruzione della vita del Santo. Il santo vescovo Prisco, dunque, è stato un personaggio realmente esistito che ha vissuto la realtà del suo tempo e che ci ha lasciato una traccia concreta di sé. Già, ma allora chi era veramente il vescovo Prisco? Per tentare di rispondere a questa domanda senza allontanarci troppo dalla realtà e per non commettere lo stesso errore di Lucio Baldino, bisogna fare prima qualche premessa. In totale assenza di documenti storici, non è facile tentare di definire l’estrazione sociale e la forma di reclutamento del vescovo Prisco, senza il ricorso ad altre analogie. Nelle varie città italiane, in sintesi, se inizialmente il livello socio-culturale dei vescovi fosse alquanto basso, dopo i provvedimenti legislativi dell’imperatore Costantino, la funzione vescovile fu gradualmente ambita anche dagli esponenti dell’aristocrazia locale.
Infatti, nonostante la persistenza formale della Curia cittadina, pur senza assumere effettive funzioni pubbliche, in particolare dopo l’istituzione dell’episcopalis audientia, una sorta di nuovo tribunale che conferiva grande rilievo all’arbitrato vescovile, e, in maniera più accentuata dal V secolo in poi, il capo della comunità cristiana locale venne assumendo il carico dell’amministrazione cittadina, grazie alla nomina dei curatores e defensores civitatis. I vescovi non furono solo i garanti del mantenimento di una vita cittadina a livello istituzionale e amministrativo, salvaguardando le funzioni della civitas, ma anche a livello materiale. Ai vescovi, infatti, fu attribuito il controllo dei proventi per le città, di origine pubblica e privata, oltre alla vigilanza del loro corretto impiego in opere pubbliche come acquedotti, terme, cinte murarie. La cura di questi interventi non pare, però, configurarsi come obbligo per i vescovi quanto come incarico fiduciario di controllo e garanzia. Quando invece si richiedeva l’intervento diretto dei vescovi, questo si poneva in linea con gli obblighi tradizionali di tutti i grandi proprietari terrieri, come la manutenzione di strade, ponti e altro. La comparsa e l’affermazione della figura vescovile nelle città italiane, inoltre, si accompagnarono a un altro processo di profonda trasformazione istituzionale (ma anche insediativa e socio-economico), la provincializzazione, con la conseguente attribuzione delle funzioni di governo a correctores e consulares e l’inevitabile formazione di una gerarchia urbana che poneva al suo vertice la città capoluogo provinciale, sede del governo e suoi uffici. Il vescovo, e non solo quello della città capoluogo rappresentò sempre più uno degli interlocutori privilegiati del governatore, accrescendo gradualmente gli spazi del proprio potere rispetto ai rappresentanti dell’amministrazione cittadina e imperiale, fino a ereditarne col tempo molte funzioni. Il vescovo divenne anche il responsabile della concordia e della pace, oltre che del benessere; il vescovo peraltro restava protettore della città anche dopo morto. L’episcopus andò così assumendo anche un’importante funzione di patronato nei confronti della città, delle cui esigenze si faceva interprete e rappresentante anche nei confronti del potere politico e in tutte le occasioni di difficoltà e di pericolo, soprattutto in caso di guerra. In questo quadro potrebbe essere inserito anche la figura del santo vescovo Prisco. Egli, infatti, doveva appartenere alla classe agiata nocerina e con ogni probabilità ricoprì con responsabilità diversi incarichi e magistrature sempre per conto dell’amministrazione di Nuceria. Dopo il definitivo riconoscimento del Cristianesimo da parte dell’imperatore Costantino, come faranno Ambrogio, Girolamo, Paolino, Ilario, Agostino, il colto e influente Prisco, capì che era giunto il momento di passare dall’altra sponda. Ciò però non voleva dire che da vescovo egli si preparasse a disertare la causa dell’Impero, tutt’altro, egli credeva che l’Impero potesse ritrovare la sua unità spirituale attorno al Cristianesimo. Con molta probabilità, oltre a provvedere al sostentamento dei suoi fedeli, il vescovo Prisco assicurava il nutrimento a orfani, a vedove e a poveri non tutti, necessariamente cristiani. Queste attività caritatevoli erano svolte anche fuori dalle mura cittadine e sicuramente in qualche proprietà dello stesso vescovo. Non riteniamo ozioso domandarci se avesse avuto moglie e figli, ma in mancanza di dati oggettivi possiamo solo dire che, nonostante il culto pagano avesse nel Senato municipale una roccaforte che fu espugnata solo molto più tardi, il santo vescovo Prisco a Nuceria consolidò la fede cristiana e pose le basi per l’organizzazione della Diocesi. Mentre, per ciò che riguarda la sua origine, si può solo aggiungere che non è da escludere né che egli fu un missionario inviato dalla Chiesa di Roma, centro principale dell’irradiazione e propagazione del Cristianesimo in Italia per diffondere il messaggio evangelico, né che fu un nocerino convertito al Cristianesimo, né che fu un cristiano di origine ebraica cittadino di Nocera.