Sinisa Mihajlovic è morto oggi a causa della grave forma di leucemia che lo aveva colpito anni fa. L’allenatore di calcio ed ex calciatore serbo aveva 53 anni. Lascia la moglie Arianna e 5 figli, una delle quali gli aveva da poco dato una nipotina.
È luglio, anno 2019, siamo nella sede di Casteldebole, il centro di allenamento del Bologna. Sinisa Mihajlovic qualche giorno prima, quando era ancora in vacanza in Sardegna, ha sentito un dolore all’adduttore, aveva dato la colpa al padel, agli allenamenti tosti a cui si sottoponeva anche a 50 anni, pensava a un’infiammazione.
I medici del Bologna hanno insistito perché facesse degli approfondimenti e gli hanno appena presentato, con mille precauzioni, l’esito: leucemia. Pausa. «Ma con questa leucemia si vive o si muore?», la sua reazione, senza girarci attorno, dritta al punto.
Ma per tre anni Sinisa ha vissuto, ha lottato, allenatore della sua stessa terapia, voleva sapere tutto da medici e infermieri: tre ricoveri e tre cicli di chemio, un trapianto, il ritorno in panchina a tempi record per la prima col Verona, gli occhi infossati, i chili persi, un altro sorriso dell’amatissima moglie Arianna (un colpo di fulmine tanti anni fa a Roma, «chissà che figli bellissimi verrebbero con lei», sono stati cinque: uno più bello dell’altro in effetti), gli allenamenti seguiti sull’iPad, la squadra sotto la finestra dell’ospedale a festeggiare le vittorie (e la sua ironia, graffiante, «non mi fanno uscire perché porta bene, perdete sennò mi tengono qui»), il festival di Sanremo con l’amico Zlatan Ibrahimovic, un esonero discusso, la nascita della nipotina Violante, figlia di Virginia, una ricaduta, altre cure, un altro trapianto.