In Italia, il primo a occuparsi dei diritti degli animali fu Giuseppe Garibaldi che, nell’aprile del 1871, a Torino, costituì la “Società protettrice degli animali contro i mali trattamenti che subiscono dai guardiani e dai conducenti”. Si parlava di “mali trattamenti” inferti da persone che avrebbero dovuto prendersi cura di loro. Guardiani e conducenti, cioè i “proprietari”, che a distanza di più di cent’anni sono probabilmente ancora i primi soggetti dai quali l’animale deve essere tutelato. Il reato di maltrattamento di animali fu introdotto e disciplinato nel nostro sistema penalistico, in epoca relativamente moderna, dal Regio Decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, il cui principale estensore fu Alfredo Rocco, il Guardasigilli del Governo Mussolini. Collocato tra i reati contro la moralità pubblica e il buon costume troviamo, infatti, l’articolo 727 che ha costituito, con l’articolo 638 (uccisione o danneggiamento di animali altrui), un punto di riferimento per la difesa giuridica degli animali per molti anni. Nell’accezione tradizionale dell’articolo727, si riteneva che la contravvenzione fosse da riferirsi soltanto a quegli animali nei confronti dei quali l’uomo provasse sentimenti di pietà e di compassione, ma la raggiunta consapevolezza che ogni animale sia capace di percepire dolore, portò a una nuova formulazione del medesimo articolo attraverso la legge n. 473 del 1993 (nuove norme contro il maltrattamento degli animali).
Legge che però aveva lasciato immutato l’oggetto di tutela, il quale continuava a essere il sentimento di pietà e compassione che l’uomo prova verso gli animali e che è offeso quando un animale subisce crudeltà e ingiustificate sofferenze. Oggi, la valutazione della sussistenza del reato di maltrattamento di animali è duplice; di tipo normativo/giuridico e fattuale, e compete in prima battuta alla polizia giudiziaria e, di poi, principalmente al Giudice, nella duplice veste e ruolo di Magistrato requirente e/o decidente. Due, sono le principali norme del Codice Penale che disciplinano le singole e diverse fattispecie; l’articolo 544 ter e l’articolo 727. A questo punto sarà utile riprodurre i due articoli di legge. Articolo 544 ter Maltrattamento di animali: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione a un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche, è punito con la reclusione da tre a 18 mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro”. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate, cioè li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale. Articolo 727. Abbandono di animali: “Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda da 1.000 euro a 10.000 euro”. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze.
Paradossalmente la prima, e tuttora migliore, legislazione a protezione degli animali e dell’ambiente sia stata imposta dal nazismo negli anni 1933-35. Il vegetariano Hitler, infatti, disse in un discorso: “Im neuen Reich darf es keine Tierquälerei mehr geben” (Nel nuovo Reich non può esserci più posto per la crudeltà verso gli animali). Il 24 novembre 1933 (anno dell’ascesa al potere del nazismo) fu approvata l’imponente legge sulla protezione degli animali (Das deutsche Tierschutzrecht). Di questa legge diedero un commento analitico e storico (in un’opera di 308 pagine) i dottori Giese e Kahler il primo novembre 1938. L’introduzione al testo fu del dottor Krebs, Borgomastro, Consigliere di Stato prussiano e Direttore della Lega per la protezione degli animali del Reich. Questa fu seguita il 3 luglio 1934 dalla legge che poneva severe limitazioni alla caccia (Das Reichsjagdgesetz) e dalla legge del primo luglio 1935 a protezione della natura (Reichsnaturschutzgesetz). La legge nazista previde come pena due anni di carcere per abbandono o per maltrattamento di animali, e impose l’anestesia totale nei mattatoi, dove fu vietata la barbarie del rito sacrificale ebraico-islamico.
Principale teorico di tale legislazione fu il biologo Walter Schoenichen, le cui tesi espresse nell’opera “Naturschutz als völkische und internationale Kulturaufgabe” (Protezione della natura come compito culturale popolare e internazionale), Jena 1942. Queste idee possono sembrare affini a quelle che ispirano oggi l’ecologia profonda, che vede l’uomo, non come padrone di una natura umanizzata, ma come responsabile della conservazione di uno stato originario della natura. Infatti, sul presupposto romantico, antilluministico e antiumanistico, del rifiuto di separare la cultura dalla natura, considerata, contro ogni concezione antropocentrica, degna di rispetto indipendentemente dall’interesse umano, con una conseguente condanna, da parte del nazismo, di ogni pretesa di asservimento coloniale di altri popoli all’interesse capitalistico, che non rispetta le diversità e l’identità delle popolazioni indigene e porta all’omogeneizzazione della specie umana.