Ormai in tutte le reti televisive, pubbliche o private, compaiano cuochi o aspiranti tali a deliziare il pubblico con le loro fantasiose manipolazioni del cibo. I grandi chef sono considerati delle celebrità, mentre innumerevoli food blogger impazzano sul web, senza contare la pubblicazione di svariate riviste a tema cucina. Tutto questo interesse per ricette, vini da abbinare e preparazione della tavola, potrebbe sembrare una moda abbastanza recente, invece il primo nella storia a scrivere di cibo, anzi, di critica dell’arte culinaria, è Archestrato di Gela. Della vita di Archestrato non si sa in pratica nulla tranne che fosse un siceliota (greco di Sicilia) di Gela o forse di Siracusa, vissuto intorno alla metà del IV secolo a.C. Anche della sua produzione poetica e filosofica ci è ignota tranne un suo poema, tramandato con molti titoli, dal semplice “Gastronomia” al più usato Hēdypatheia (Ηδυπάθεια), cioè “Poema del buongustaio”. Purtroppo di questo poema, un’opera in esametri che rimanda alla poesia epica di Omero ed Esiodo, che avrebbe potuto essere molto illuminante su usi e costumi della Grecia e delle colonie d’Italia e Asia Minore, rimangono solo sessantadue frammenti arrivati fino a noi attraverso la loro citazione in un’opera di Ateneo di Naucrati che, intorno al 200 d.C., scrive “I Dipnosofisti” (Δειπνοσοφισταί), cioè “Dotti a banchetto”. Ateneo di Naucrati scrive “I Dipnosofisti” in forma di dialoghi, e presenta una sorta di storia dei banchetti “filosofici”, ma la sua particolarità consiste nelle innumerevoli citazioni di autori antichi, più di settecento, su argomenti come il teatro – tragico e comico – la scienza, la filosofia, il diritto e, non ultima, la culinaria, oltre a descrizioni su lussi eccessivi, etere e prostituzione, e un’immancabile connessione tra cibo e amore carnale. E’ insomma una miniera di notizie su banchetti e simposi, dove si possono trovare frammenti di autori le cui opere sarebbero altrimenti perse del tutto, come quella di Archestrato. Dai sessantadue frammenti riportati da Ateneo di Naucrati non si può ovviamente ricavare molto, a parte la constatazione che quest’opera culinaria non è citata da nessun altro. In verità c’é un altro autore, il poeta romano Quinto Ennio, che ne traduce, e probabilmente rielabora, undici versi, a riprova di come nel III secolo d.C. Archestrato fosse ancora letto e conosciuto almeno nell’Italia meridionale, che con le sue colonie greche comunque esercitava una grande influenza sul mondo romano.
Con così poco materiale a disposizione non si può che azzardare qualcosa sui contenuti del poema culinario nel quale Archestrato sembra prediligere il pesce rispetto alla carne, forse non parla di dolci ma accenna qualcosa su antipasti e salse d’accompagnamento.
L’Hēdypatheia è, sorprendentemente, un’opera in versi, scritta in un’epoca nella quale la prosa era già diffusa, in particolare per trattati di filosofia, scienza e anche per ricettari, come il “Manuale di cucina” o “Il cuoco siciliano”, il più antico libro di ricette (purtroppo perduto) che si conosca, composto da Miteco Siculo (di Siracusa) nel V secolo a.C. e citato addirittura da Platone nel “Gorgia”, che ne tesse le lodi per le sue qualità di cuoco, apprezzate dagli ateniesi e un po’ meno dagli equilibrati spartani, che lo cacciano dalla città temendo una corruzione dei loro austeri costumi. La scelta della poesia dimostra che l’Hēdypatheia non doveva essere un manuale di uso pratico, ma piuttosto un’opera da leggere durante un simposio, secondo la consuetudine di intrattenere gli ospiti, alla fine del banchetto, con grandi bevute (il simposio appunto) e divertimenti di vario genere: canti e balli, letture di poesie liriche o poemi epici come quelli di Omero ed Esiodo, ma anche di componimenti appartenenti al genere della parodia, come quello di Archestrato. La particolarità dell’Hēdypatheia sta però nel fatto che la parodia è marginale, mentre il tema centrale si occupa della scelta delle materie prime e della loro preparazione. Se l’opera fosse stata scritta in prosa poteva benissimo essere considerata un ottimo manuale destinato ai cuochi di mestiere, che appartenevano a uno strato sociale piuttosto basso, mentre la scelta della poesia dimostra che Archestrato si rivolge invece a chi offre i banchetti. Una scelta giusta, visto che Ateneo cita sessantadue suoi versetti, mentre di Miteco Siculo, pur elogiato da Platone, riporta solo due righe. Come nella migliore tradizione dei moderni food blogger, Archestrato offre al suo pubblico un tour gastronomico, attraverso i suoi viaggi nelle principali città del Mediterraneo e dell’Asia Minore, delle quali racconta i migliori prodotti alimentari che si possano acquistare, senza dimenticare le stagioni più indicate e le ricette fornite dai più conosciuti cuochi di ciascun luogo, oltre ai vini da abbinare. Non mancano consigli anche su come decorare la sala del banchetto. La prima edizione critica di tutti i frammenti superstiti fu curata da Domenico Scinà e venne edita nel 1842, a Venezia, dallo stampatore Giuseppe Antonelli. Ebbene, avendo un esemplare dell’opera in collezione, trascriveremo i primi versi!
“Quanto conobbi in viaggiar mostrando
A Grecia tutta, ove miglior si trova
Ogni cibo dirò ogni liquore.
Di vivande squisite unica mensa
Accolga tutti, ma di tre o di quattro
O di cinque non più sia la brigata:
Perchè se fosser più cena sarebbe
Di mercenari predator soldati”.
Nel suo poema, linguaggio, contenuto e forme di composizione si mostrano modellati addirittura sulla base di versi omerici. Archestrato, in conclusione, rappresenta in tutta probabilità anche il precursore della poesia in ambito gastronomico.