Il boss mafioso Matteo Messina Denaro è stato arrestato dai carabinieri del Ros, dopo 30 anni di latitanza. L’inchiesta che ha portato alla cattura del capomafia di Castelvetrano (Tp) è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido.
Matteo Messina Denaro, noto anche con i soprannomi U siccu e Diabolik, da quasi trent’anni tra i latitanti più pericolosi e ricercati al mondCapo del mandamento di Castelvetrano e rappresentante indiscusso della mafia nella provincia di Trapani, è stato uno dei boss più potenti di tutta Cosa nostra, arrivando a esercitare il proprio potere ben oltre i confini della propria provincia, come in quelle di Agrigento e, addirittura, di Palermo[4]. Per quanto tradizionalmente il potere assoluto sull’intera organizzazione non possa essere concentrato nelle mani di un padrino estraneo a Palermo e, sebbene dopo la morte di Salvatore Riina, non vi siano più state prove di un’organizzazione piramidale di Cosa nostra, alcuni inquirenti si sono esplicitamente riferiti al latitante castelvetranese come all’attuale capo della commissione interprovinciale di Cosa Nostra.
Nel 1992 Messina Denaro fece parte di un gruppo di fuoco, composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani, che venne inviato a Roma per compiere appostamenti nei confronti del presentatore televisivo Maurizio Costanzo e per uccidere Giovanni Falcone e il ministro Claudio Martelli, facendo uso di kalashnikov, fucili e revolver, procurati da Messina Denaro stesso, qualche tempo dopo, però, il boss Salvatore Riina fece ritornare il gruppo di fuoco, perché voleva che l’attentato a Falcone fosse eseguito diversamente. Nel luglio 1992 Messina Denaro fu tra gli esecutori materiali dell’omicidio di Vincenzo Milazzo (capo della cosca di Alcamo), che aveva cominciato a mostrarsi insofferente all’autorità di Riina; pochi giorni dopo, Messina Denaro strangolò barbaramente anche la compagna di Milazzo, Antonella Bonomo, che era incinta di tre mesi: i due cadaveri furono poi seppelliti nelle campagne di Castellammare del Golfo. In seguito, Messina Denaro fece anche parte del gruppo di fuoco che compì il fallito attentato al vicequestore Calogero Germanà, a Mazara del Vallo (14 settembre 1992).
Dopo l’arresto di Riina, Messina Denaro fu favorevole alla continuazione della strategia degli attentati dinamitardi, insieme ai boss Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano; Messina Denaro mise infatti a disposizione un suo uomo, Antonio Scarano (spacciatore di droga di origini calabresi residente a Roma), per fornire supporto logistico al gruppo di fuoco palermitano che compì gli attentati dinamitardi a Firenze, Milano e Roma, che provocarono in tutto dieci morti e 106 feriti, oltre a danni al patrimonio artistico[22]. Organizzò poi l’attentato ai danni di Totuccio Contorno coadiuvato da Leoluca Bagarella.
Nell’estate 1993, mentre avvenivano gli attentati dinamitardi, Messina Denaro andò in vacanza a Forte dei Marmi insieme ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano e da allora si rese irreperibile, dando inizio alla sua lunga latitanza. Da allora nei suoi confronti venne emesso un mandato di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e altri reati minori. Fu però con l’operazione Petrov del marzo 1994, scaturita dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pietro Scavuzzo, che emerse il suo ruolo all’interno di Cosa nostra trapanese ed, ancora di più, con l’operazione “Omega”, portata a termine dai carabinieri nel gennaio 1996 con 80 ordinanze di custodia cautelare sulla base della accuse dei collaboratori di giustizia Antonio Patti, Salvatore Giacalone, Vincenzo Sinacori e Giuseppe Ferro, i quali ricostruirono più di vent’anni di omicidi avvenuti nel trapanese: nel 2000, alla conclusione del maxi-processo “Omega” che scaturì dall’operazione e che si svolse presso l’aula-bunker del carcere di Trapani, Messina Denaro venne condannato in contumacia alla pena dell’ergastolo.
Nel novembre 1993 Messina Denaro fu tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo per costringere il padre Santino a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci; infine, dopo 779 giorni di prigionia, il piccolo Di Matteo venne brutalmente strangolato e il cadavere sciolto nell’acido. Nel 1994 Messina Denaro organizzò un attentato dinamitardo contro il pentito Totuccio Contorno, insieme a Giovanni Brusca, tuttavia l’esplosivo, collocato in una cunetta ai lati di una strada nei pressi di Formello, dove Contorno passava abitualmente, venne scoperto dai Carabinieri, avvertiti dalla telefonata di un cittadino, insospettito da alcuni movimenti strani.