Marco Aurelio Antonino Augusto (Roma, 203 – Roma, 222), nato come Sesto Vario Avito Bassiano ma meglio noto come Eliogabalo o Elagabalo è stato un imperatore romano, appartenente alla dinastia dei Severi, che regnò dal 218 al 222, anno della sua morte. Siriano di origine, Elagabalo era, per diritto ereditario, l’alto sacerdote del dio sole El-Gabal di Emesa, sua città d’origine. Il nome “Elagabalo” deriva, infatti, da due parole siriache, El (dio) e Gabal (concetto associabile a montagna), e significa “il dio (che si manifesta in una) montagna”, chiaro riferimento alla divinità solare di cui era sacerdote, rappresentata da un betilo cioè una pietra sacra. Col sostegno della madre, Giulia
Soemia, e della nonna materna, Giulia Mesa, fu acclamato imperatore dalle truppe orientali, in opposizione all’imperatore Macrino, all’età di quattordici anni. Il regno di Elagabalo fu fortemente segnato dal suo tentativo di importare il culto solare di Emesa a Roma e dall’opposizione a questa politica religiosa. Il giovane imperatore siriano, infatti, sovvertì le tradizioni religiose romane, sostituendo a Giove, signore del pantheon romano, la nuova divinità solare del Sol Invictus, che aveva gli stessi attributi del dio solare di Emesa; contrasse anche, in qualità di gran sacerdote di Sol Invictus, un matrimonio con una vergine vestale, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere il matrimonio tra il proprio dio e Vesta.
Sono tre le fonti antiche pervenute che raccontano la vita del giovane imperatore siriano: quella più dettagliata è la contemporanea Storia romana di Cassio Dione, che però riporta il punto di vista della classe senatoriale e il cui autore fu sostenitore di Alessandro Severo; l’omonima opera di Erodiano, contemporaneo e conterraneo di Elagabalo, dà al contrario un giudizio più sereno e bilanciato; l’Historia Augusta, che gli storiografi moderni fanno risalire al IV secolo, fonde invece pettegolezzi e storie inventate da una fonte contemporanea agli eventi ora andata perduta. Elagabalo era, per diritto ereditario, gran sacerdote del dio solare di Emesa, El-Gabal; già
all’età di quattordici anni esercitava il proprio sacerdozio. Suo padre era membro dell’ordine equestre e fu in seguito nominato senatore dal figlio. Sua madre era la figlia maggiore di Giulia Mesa, vedova del console Gaio Giulio Avito Alessiano, sorella dell’imperatrice Giulia Domna e cognata dell’imperatore Settimio Severo; Giulia Soemia era dunque cugina dell’imperatore Caracalla, il quale aveva estinto, alla propria ascesa al
trono, la discendenza maschile diretta della dinastia per timore di essere rovesciato. Avito è dunque ricordato oggi col nome del suo dio, Elagabalo, che però non usò mai in vita. Quando Macrino assunse il potere, dovette decidere come eliminare il pericolo costituito per il suo regno dalla potente famiglia del suo predecessore assassinato,
Caracalla; il nuovo imperatore si limitò a esiliare Giulia Mesa, le sue due figlie, e il suo più anziano nipote, Elagabalo, nella loro tenuta a Emesa in Siria. Dopo aver passato la giovinezza a Roma, Elagabalo assunse il rango che nella sua città di origine gli spettava per diritto familiare, diventando gran sacerdote di El-Gabal.
Appena giunta in Siria, Giulia Mesa iniziò a tramare con Gannys, il suo eunuco consigliere e tutore di Elagabalo, per spodestare Macrino e dare la porpora al nipote appena quattordicenne; le armi a sua disposizione erano l’enorme influenza locale che le veniva dal ruolo sacerdotale svolto
dalla sua famiglia, le possibilità offerte dalla notevole ricchezza dei Bassiani, e l’insoddisfazione dell’esercito (aveva amato Caracalla, era ostile a Macrino per la sua politica di austerità). A quel tempo il tempio di El-Gabal era frequentato dai soldati di stanza in Fenicia, e quando questi venivano a visitarlo Mesa li iniziò ad avvicinare per diffondere una falsa voce: Elagabalo era in realtà un figlio illegittimo di Caracalla che era giaciuto con entrambe le figlie mentre queste erano a Roma. Tra i soldati si sparse la voce che Mesa fosse molto ricca e che avrebbe pagato bene chi avesse restaurato la sua famiglia sul trono imperiale. La Legio III Gallica, di stanza a Raphana, decise quindi di far venire Mesa e la sua famiglia nell’accampamento durante la notte: insieme alle figlie e ai nipoti, Mesa giunse nel campo militare e tutti furono accolti dai soldati, che acclamarono Elagabalo figlio di Antonino. All’alba del 16 maggio 218, Publio Valerio Comazone Eutichiano, comandante della
Legio III Gallica, dichiarò Elagabalo imperatore. Il giovane sovrano assunse lo stesso nome di Caracalla, Marco Aurelio Antonino, per rafforzare ulteriormente la propria legittimità. Elagabalo e la sua corte passarono l’inverno del 218 a Nicomedia in Bitinia, allo scopo di consolidare il proprio potere. Lì Elagabalo celebrò i riti del suo sacerdozio, danzando in vesti siriane e disprezzando gli indumenti greci e romani. Queste particolari credenze religiose del nuovo imperatore si dimostrarono per la prima volta un problema, tanto che, secondo la testimonianza dello storico romano Cassio Dione, il prefetto del pretorio Gannys fu fatto assassinare da Eliogabalo perché cercava di indurlo a regnare con “temperanza e prudenza”. Quando Giulia Mesa, nonna di Elagabalo, vide le azioni del giovane, cercò di persuaderlo a vivere secondo la tradizione di Roma per paura che il giovane potesse sembrare troppo “barbaro”. Elagabalo, però, non prestò ascolto ai consigli della nonna e fece quindi inviare a Roma un suo ritratto in vesti sacerdotali, che fu piazzato sopra l’altare della Vittoria nella Curia; in questo modo i senatori si trovavano nell’imbarazzante posizione di sacrificare a Elagabalo ogni volta che facevano offerte alla dea Vittoria.
Sembra, tuttavia, che in quel periodo Elagabalo fosse amato sia dal senato sia dal popolo. Quando la corte di Elagabalo raggiunse Roma nell’autunno 219, Comazone e gli altri alleati di Giulia Mesa e dell’imperatore ricevettero incarichi lucrativi e influenti, con grande oltraggio dei senatori, che non li consideravano personaggi
rispettabili. Comazone, per esempio, proseguì la sua carriera divenendo praefectus urbi di Roma per tre volte e due volte console. Elagabalo tentò di nominare cesare il proprio presunto amante Ierocle, mentre riuscì ad assegnare l’influente posizione non-amministrativa di cubicularius a un altro presunto amante, Zotico. La sua offerta di un’amnistia per l’aristocrazia romana che aveva sostenuto Macrino fu ampiamente onorata, anche se il giurista Eneo Domizio Ulpiano fu esiliato. La relazione tra Giulia Mesa, Giulia Soemia ed Elagabalo fu molto stretta, per lo meno all’inizio. La madre e la nonna del giovane imperatore ricevettero l’onore di assistere alle sedute del senato romano, ed entrambe ricevettero titoli collegati col rango senatoriale: Soemia ricevette il
titolo di clarissima, Mesa il meno ortodosso mater castrorum et senatus (madre degli accampamenti e del senato). L’imperatore costituì anche il senaculum mulierum, il “senato delle donne”, autorizzato a decidere su argomenti limitati, che si riuniva sul Quirinale. Alcune terme furono aperte a uomini e donne. Indubbiamente queste decisioni indispettirono grandemente il senato; le donne avevano avuto sempre un ruolo, ma
celato, mai alla luce del sole. Il coraggio di queste decisioni è assoluto se si pensa che le donne in Italia abbiano votato per la prima volta, alle elezioni amministrative del 10 marzo 1946.
Un altro oltraggio alla sensibilità religiosa dei Romani fu causato dalla sua decisione di unirsi in matrimonio con la vergine vestale Aquilia Severa: l’unione del sacerdote del dio sole con la sacerdotessa della dea Vesta avrebbe dato, nelle intenzioni dell’imperatore, “bambini simili a dei”; si trattava della rottura di una antichissima e onorata tradizione romana, tanto che, per legge, una vestale che avesse perso la propria verginità veniva seppellita viva. Per diventare l’alto sacerdote di El-Gabal, Elagabalo si fece circoncidere, costringendo pure alcuni suoi collaboratori a fare lo stesso.
L’imperatore obbligò i senatori a guardarlo mentre danzava attorno all’altare di Deus Sol
Invictus al suono di tamburi e cimbali, e nel giorno del solstizio d’estate fu istituita in
onore del dio una grande festa, popolare tra le masse per via della grande distribuzione di
viveri. Durante questa festa, Elagabalo poneva El-Gabal, il meteorite nero conico che
rappresentava il dio solare di Emesa, su di un carro adornato con oro e gioielli, che
girava la città in parata: “Un tiro a sei cavalli trasportava la divinità, i cavalli enormi e di un bianco
immacolato, con finimenti in oro e ricchi ornamenti. Nessuno teneva le redini, e nessuno era a bordo
della biga; il veicolo era scortato come se il dio stesso fosse l’auriga. Elagabalo camminava all’indietro davanti alla biga, rivolto verso il dio e reggendo le redini dei cavalli. Compiva tutto il viaggio in questo modo inverso, guardando in faccia il suo dio” (Erodiano, Storia romana, V, 6). Un sontuoso tempio detto Elagabalium fu costruito sul pendio orientale del Palatino allo scopo di
ospitare il betilo del dio. Erodiano, uno storico siriano contemporaneo, racconta
che “questa pietra è adorata come se fosse stata inviata dal cielo; su essa si trovano piccole protuberanze e segni, che alla gente piace considerare un grezzo ritratto del sole, perché è così che li vedono”.
L’orientamento sessuale di Elagabalo e la sua identità di genere sono stati origine di controversie e dibattiti. Infatti, l’aspetto religioso e quello sessuale erano profondamente intrecciati, come normale nella cultura orientale, ma la società romana non comprese questo aspetto e dunque considerò stravaganti e scandalose le pratiche sessuali del proprio imperatore, tra cui le orge, i rapporti omosessuali e transessuali, la prostituzione,
all’interno delle quali va intesa la ricerca dell’androginia e della castrazione. Elagabalo sposò, per poi divorziare, cinque donne, delle quali solo tre sono conosciute. La sua prima moglie fu Giulia Cornelia Paula, che sposò poco dopo essere giunto a Roma (autunno 219), allo scopo di avere presto dei figli con i quali continuare la dinastia, ma
dalla quale divorziò nelle prime settimane del 220 sulla base di una non meglio specificata imperfezione fisica, allo scopo di sposare la seconda moglie, la vergine vestale Aquilia Severa. Nel giro di un anno, però, pose fine al controverso legame con Aquilia per sposare Annia Faustina (luglio 221), una discendente di Marco Aurelio e la vedova di Pomponio Basso, fatto giustiziare da poco da Elagabalo stesso; entro la fine dell’anno, infine, tornò da Aquilia. Stando però al senatore e storico contemporaneo Cassio Dione, la sua relazione più stabile sarebbe stata quella con un auriga, uno schiavo biondo proveniente dalla Caria di nome Ierocle, al quale l’imperatore si riferiva chiamandolo suo marito. L’Historia Augusta, scritta un secolo dopo i fatti, afferma che sposò anche un
uomo di nome Zotico, un atleta di Smirne, con una cerimonia pubblica nella capitale. Cassio Dione scrisse inoltre che Elagabalo si dipingeva le palpebre, si depilava e indossava parrucche prima di prostituirsi nelle taverne e nei bordelli, e persino nel palazzo imperiale: “Infine, riservò una stanza nel palazzo e lì commetteva le sue indecenze,
standosene sempre nudo sulla porta della camera, come fanno le prostitute, e scuotendo le tende che
pendevano da anelli d’oro, mentre con voce dolce e melliflua sollecitava i passanti” (Cassio Dione,
Storia romana, LXXX, 13). Erodiano commenta che Elagabalo sciupò il suo bell’aspetto naturale facendo uso di troppo trucco. Fu spesso descritto mentre “si deliziava di essere chiamato l’amante, la moglie, la regina di Ierocle”, e si narra che abbia offerto metà dell’Impero romano al medico che potesse dotarlo di genitali femminili. Di conseguenza, Elagabalo è stato spesso descritto dagli scrittori moderni come transgender. Entro il 221, le eccentricità di Elagabalo, in particolare la sua relazione con Ierocle, causarono il progressivo scollamento tra l’imperatore e la guardia pretoriana. Quando Giulia Mesa si accorse che il sostegno popolare a Elagabalo stava crollando rapidamente, decise che lui e sua madre Giulia Soemia, che lo aveva incoraggiato nelle sue pratiche religiose,
dovessero essere rimpiazzati da qualcuno di più affidabile e popolare. Per trovare un sostituto al soglio imperiale, Giulia Mesa si rivolse all’altra figlia, Giulia Mamea, e a suo figlio, il tredicenne Alessiano (che assunse il nome di Alessandro Severo): Elagabalo fu convinto ad associare il cugino al potere per lasciare a lui le cure secolari e meglio dedicarsi a quelle religiose. Alessandro fu adottato dal cugino (21 giugno 221), da cui ricevette il titolo di cesare e col quale condivise il consolato per quello stesso anno (222).
Sempre nell’ottica di riguadagnare il consenso va visto il divorzio dalla vergine vestale Aquilia Severa e il matrimonio con la nobile Annia Faustina. Elagabalo, però, si rese conto che i soldati, il senato e il popolo gli preferivano il cugino, e decise di cambiare le cose. Dopo aver tentato ripetutamente di far assassinare Alessandro, protetto dalla nonna Giulia Mesa, l’imperatore ordinò al senato di annullare l’elezione a cesare del
cugino e di ricoprire di fango le sue statue, ma i soldati si ribellarono ed Elagabalo si salvò a malapena dalla loro rabbia; l’ordine non fu eseguito. I rapporti tra Elagabalo e il cugino/figlio si deteriorarono rapidamente entro la fine del 221: solo per le pressioni della madre e della nonna l’imperatore accettò di comparire in pubblico assieme ad Alessandro in occasione della loro assunzione del consolato (il primo gennaio 222). L’imperatore mise in giro la voce che il cugino era moribondo per vedere la reazione della guardia pretoriana. Alla notizia, i soldati si ribellarono, pretendendo che Elagabalo e Alessandro si presentassero nel loro accampamento. L’imperatore si presentò al campo dei pretoriani l’undici marzo 222, assieme al cugino e alla propria madre Giulia Soemia;
al suo arrivo i pretoriani iniziarono ad acclamare il loro favorito Alessandro, ignorando Elagabalo, che ordinò allora l’arresto e l’esecuzione sommaria di coloro che sostenevano Alessandro, con l’accusa di ribellione. In risposta, i pretoriani assalirono e uccisero prima l’imperatore e poi sua madre: “Fece un tentativo di fuggire, e sarebbe riuscito a raggiungere un qualche luogo nascosto in una latrina, se non fosse stato scoperto e ucciso, all’età di diciotto anni. La madre, che lo abbracciò e lo strinse fortemente, morì con lui; le loro teste furono spiccate dal busto e i loro corpi, dopo essere stati denudati, furono prima trascinati per tutta la città, e poi il corpo della madre fu gettato in un posto o in un altro, mentre il suo venne gettato nel fiume” (Cassio Dione, Storia
romana, LXXX, 20). Con la sua morte, molti dei suoi collaboratori furono uccisi o deposti, inclusi Ierocle e Comazone. I suoi editti religiosi furono annullati ed El-Gabal fu mandato indietro a Emesa. Alle donne fu proibito per sempre di partecipare alle sedute del senato romano, mentre fu decisa la damnatio memoriae contro di lui: le sue statue furono distrutte, il nome cancellato dai documenti e dalle iscrizioni, fu proibito piangerlo pubblicamente e seppellirlo.