Cantano peggio di ieri, sono un po’ più sciurette e meno pop star, ma sono quel che ci vuole in uno dei Festival coi testi più dolenti di sempre: divertimento, leggerezza, un pizzico di ironia.
Non ha nulla di sbagliato, forse è sbagliata la strada che ha imboccato. Damiano non le ha dato un grandissimo pezzo e lei fa il possibile. Poteva scegliere di essere cool, ha preferito proporre una canzone leggera ma pensosa, melodica, sanremese. Insipida.
Dargen D’Amico sul set della Grande bellezza, un ballo di gruppo su una trombonave, sberleffo ai bacchettoni che temono che i loro figli possano fare quella cosa tremenda: sesso.
Il santo sbaglia, perdona e canta. Chiede di tenere troppo alta la voce e quando lo capisce giudiziosamente interrompe la canzone. Si scusa e dice, pensando forse a chi ha criticato Blanco: «A 50 anni ho imparato come fare queste cose, a 20 anni non l’avrei saputo fare». E poi la canzone: stasera funziona, cresce, emoziona finalmente. Una vita riassunta in pochi minuti, un finale glorioso, “No War” sulla giacca.
Levante sa stare sul palco, si diverte, canta bene, come se dovesse liberarsi d’un peso. Stasera va meglio di ieri. Il pezzo parte bene con strofe che ricordano Cosmo, ma è come se mancasse qualcosa per fare il salto.
Al secondo ascolto all’Ariston, Cenere prende il volo. Il pezzo cita Blaze, Drake e la nuova tendenza del rap a recuperare una certa deep house. Fa ballare e ha un ritornello che gira. C’è un motivo per cui è stato l’artista italiano più ascoltato del 2022. Gli perdoniamo anche i fiori alla madre. Punta forte al podio.
LDA ti frega perché ha un nome da rapper, ma poi è Marco Carta che fa Ed Sheeran. Una conferma (nel senso del voto: 3). PS: dopo Renga avrebbero dovuto vietare la parola “angelo” nei testi di Sanremo.
Se per alcuni questo pezzo non è al livello di Voce e per molti altri è invece è la conferma che si meritava, per il pubblico dell’Ariston Madame è come l’ospite straniera: batte le mani a tempo con la faccia di chi non ha capito mezza parola. La performance di stasera è stata anche meglio di quella di ieri e la storia della prostituta è un comizio d’amore versione 2023.
Dopo l’esibizione da capodanno in piazza di Annalisa, arriva Ultimo, si mette al pianoforte (forse tutto quel gesticolare ha dato fastidio persino a lui) e recita il suo rosario straziante di brividi urlati. Voto: come la recensione dei Måneskin di Pitchfork.
“Lacrime mie o lacrime tue” è il pop ridotto alla sua essenza e Due è una canzone seducente e appiccicosa che non ti togli dalla testa e di cui non ti devi vergognare, perché è facile ma a suo modo sofisticata, per lo meno per lo standard italiani. Popstar (Made in Italy).
Si sente Big Fish nella produzione, forse troppo. Sembra un pezzo rimasto in naftalina per trent’anni, un lato B che – miracolo al contrario – Giorgia non riesce a valorizzare.
Non cercavamo la versione rap-funk dei Pinguini Tattici, ma eccola qua: i Colla Zio. Un po’ primo Jovanotti, un po’ boy band simpaticissima, un po’ bnkr44 del discount.
La sala stampa l’ha messo in cima alla classifica. Abbiamo sbagliato e al secondo ascolto al Festival ci siamo ricreduti: tutto questo sentimentalismo consunto sui giri che fanno le vite è da 6. Alla fine dell’esibizione all’Ariston è standing ovation. Rischia di vincere.
Al secondo giro Splash si conferma una delle canzoni più convincenti del festival, forse la più convincente in assoluto. C’è la difficoltà di essere adulti, il peso, la voglia di non pensare a niente senza però riuscirci mai, il modo in cui ci si affanna per evitare di vivere. Il tutto in un pezzo costruito benissimo e senza rinunciare alla melodia. In un mondo giusto dovrebbe vincere, poi però ti ricordi che ci sono il televoto e la giuria demoscopica.
Teneri e imprecisi, teneramente imprecisi, i promessi sposi del pop italiano riportano la loro storia di crisi e riconciliazione dopo il grande annuncio. Nella giornata del grande, mitizzato litigio nel backstage, due che si amano ci fanno venire voglia d’essere clementi con gli errori.
Ci abbiamo riprovato, ma niente. Viene in mente quella frase: il futuro è già passato, e non ce ne siamo nemmeno accorti.
Fino a ieri erano la barzelletta del pop, e il falsetto, e i Måneskin, e le sparate, e le interviste cantate. Con questa canzone super vintage della Rappresentante di Lista sono riusciti a evitare il kitsch e cantare d’amore in chiave so 70s, però convincente, a tratti persino struggente.
Un po’ Coldplay, un po’ Dargen, un po’ Fedez, un po’ chiunque. Olly arriva a Sanremo decidendo di esser tutto e nessuno, un’occasione persa per mostrarsi davvero. Molto meglio nel videoclip, almeno lì è autoironico.
Piazzata all’inizio della prima serata Sali c’era sembrato l’editoriale di quel che avremmo visto nei giorni seguenti: la deriva da cui Oxa ci vuole salvare. Riascoltata dopo le voci provenienti dal backstage c’è sembrato lo spirito del Sanremo passato venuto a prenderci a calci in culo. Gridando vendetta: “Libera l’anima!”.
Bello rivederli assieme. Bello che si raccontino per quel che sono oggi. Ma alla seconda performance all’Ariston il pezzo un po’ alla 883, oramai patrimonio del lessico famigliare sulla nostalgia, mostra i suoi limiti. Sono al Festival senza farsi troppo notare, nel bene e nel male, o come canta quella nel bene nel male.
Ariete si è scaldata. Dopo la prima esibizione un po’ traballante, nella seconda performance ci è sembrata decisamente più a suo agio. Se il pezzo non è ancora la colonna sonora della nuova stagione di Skam, beh, qualcuno rimedi subito.
Partire ultimo non è facile, suonare dopo l’una di notte nemmeno. Ma scusanti a parte questo pop-punk in scia Machine Gun Kelly (sì, ciao) o La Sad (avesse quell’ironia e quello spirito) non funziona. Sarà “per giovani”, ma sembra più “per nessuno”.
Ormai è chiaro: l’idea di Amadeus di portare sei giovani in gara è stata fallimentare dal punto di vista musicale e dello spettacolo. Pur avendo un pezzo scritto (anche) da Salmo, Shari barcolla sulle note, cercando la strada della canzone che cresce con tanto sentimento. Ci riporta agli anni in cui Sanremo quelli bravi non volevano andare.
Avevamo detto che il pezzo poteva crescere nel corso delle serate e confermiamo. Alla seconda esibizione, gIANMARIA ci è sembrato decisamente più carico. Si è anche fatto sfuggire un «cazzo» prima del ritornello. Che giovane. E, a proposito di giovani, ci sentiamo di dire che ci sembra il migliore di quelli in gara.
“Ma che giorno è” è il nuovo “dio delle città”, solo che Lasciami non è Uomini soli e Kekko non è Roby.
Parte arruffianandosi Amadeus regalandogli una sciarpa del Manchester United (e citando il suo disco Manchester). Stupido? No, forse furbetto. Il ritornello ricorda vagamente il grande dibattito Sottotono/NSYNC, per il resto è Blanco/It pop con le accelerate che piacciono tanto. Innocuo.
Ecco la classifica della terza serata:
MARCO MENGONI – Due vite
ULTIMO – Alba
MR. RAIN – Supereroi
LAZZA – Cenere
TANANAI – Tango
MADAME – Il bene nel male
ROSA CHEMICAL – Made in Italy
COLAPESCE E DIMARTINO – Splash
ELODIE – Due
GIORGIA – Parole dette male
COMA_COSE – L’addio
GIANLUCA GRIGNANI – Quando ti manca il fiato
MODÀ – Lasciami
PAOLA e CHIARA – Furore
LDA – Se poi domani
ARIETE – Mare di guai
ARTICOLO 31 – Un bel viaggio
MARA SATTEI – Duemilaminuti
LEO GASSMANN – Terzo cuore
COLLA ZIO – Non mi va
LEVANTE – Vivo
I CUGINI DI CAMPAGNA – Lettera 22
gIANMARIA – Mostro
OLLY – Polvere
ANNA OXA – Sali (Canto dell’anima)
WILL – Stupido
SHARI – Egoista
SETHU – Cause perse