Continua la rassegna “L’Essere e l’Umano” di Artenauta Teatro, in scena al Teatro Diana di Nocera Inferiore. Torna a calcare il palco nocerino la compagnia Dimitri-Canessa di Milano, che con il loro “Hallo! I’m Jacket!” trasportano lo spettatore in un’assurda riflessione sul concetto di comico e sugli stilemi del teatro contemporaneo. La regia è di Elisa Canessa. Lo spettacolo è finalista al premio In-Box 2017 e fa parte della Selezione Visionari del Kilowatt Festival 2017.
Il corpo degli attori – Federico Dimitri e Francesco Manenti – è fin da subito protagonista assoluto, presentato in una quasi nudità che è allo stesso tempo buffa e studiata sin nei minimi dettagli. Ciò che colpisce fin dal primo momento è il controllo che i due attori esibiscono durante il bombardamento continuo di gag corporee, dai cambi repentini d’espressione all’utilizzo spericolato del palco come piscina. Il crescendo di assurdità è accompagnato dalla voce narrante di Elisa Canessa, che ricorda le narrazioni impassibili di Marina Massironi nei corti teatrali di Aldo, Giovanni e Giacomo, insieme ai tanti altri elementi d’ispirazione che formano l’intessuto di “Hallo! I’m Jacket!”. La voce sembra fungere da freno e da direzione, in senso meta-teatrale, ma nella realtà dei fatti aizza i performer sul palco ad esplorare ancora un’altra esilarante dimensione del no-sense.
La platea è parte attiva della scena: il pubblico viene attaccato dagli attori in un gioco delirante di cui ci si ritrova complici senza avere neanche il tempo di rifletterci.
Gli unici momenti di respiro sono dettati da una voce esterna che, in inglese, cerca di comprendere quanto sta succedendo sul palco. È forse un elemento che rappresenta uno spettatore stanco, che nel teatro cerca una storia che lo porti da un punto “A” a un punto “B” e non gli chieda uno sforzo interpretativo che, in una contemporaneità logorata dai ritmi del capitalismo. riesce difficile se non si è già inclini.
La compagnia non risparmia sferzate anche al mondo della critica: va in scena un “campionato mondiale della performance” narrato per filo e per segno con tono da commentatore sportivo, come se il racconto del teatro fosse una semplice scheda tecnica da compilare. Alla fine, al vincitore non viene data neppure la parola, in una mancanza di comunicazione fra pubblico e creatori che risulta difficile da sanare se non si entra in un’empatia complice e non si smette di desiderare spiegazioni logiche di processi che logici non sono. L’apparente mancanza di logica nelle sequenze dello spettacolo è in realtà il risultato di un affidarsi all’istinto prima di muoversi all’interno di una struttura solida – cosa che il pubblico sembra star disimparando a fare non solo nell’interazione con opere teatrali, ma anche con tutte le altre forme attraverso le quali si racconta una storia.
“Hallo! I’m Jacket!” è stato concepito in una dimensione di gioco, come confermato dagli attori stessi, in cui l’improvvisazione cambia la rotta del concetto iniziale e lo trasforma in un’esperienza viva, che come tale viene portata sul palco. È come guardare un bambino che gioca – il modo in cui gli attori esplorano la libertà di arrampicarsi su una quinta o di trasformare un’urgenza fisiologica in una sfilata di moda alla Zoolander diventa uno spunto per lo spettatore comprendere la dinamica dell’improvvisazione, che nella fase di preparazione di uno spettacolo è fondamentale per dare quel “quid” inaspettato.
Lo spettacolo, però, non è né monotono né monotòno. Le declinazioni della comicità sono tante, ma la compagnia non manca di ritagliarsi il necessario spazio emozionale che fa da contraltare a scene che fanno ridere anche e soprattutto ad alta voce.