Il Museo e Real Bosco di Capodimonte ospita fino al 25 giugno 2023 la mostra “Gli spagnoli a Napoli. Il Rinascimento meridionale’. E non si tratta solo di una esposizione ma del racconto di un approccio culturale, del rapporto del mondo spagnolo con Napoli, del binomio arte e politica in città dell’inizio 500 epoca in cui la città non ha più un suo Re. In questo senso va sottolineato che la mostra, curata da Andrea Zezza (docente di Storia dell’arte moderna all’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”) e Riccardo Naldi (docente di Storia dell’arte moderna all’Università L’Orientale di Napoli), vede Capodimonte in partenariato con il Museo Nacional del Prado, dove già lo scorso ottobre è stata proposta una prima versione spagnola Otro Renacimiento. Artistas españoles en Nápoles al comienzos del Cinquecento. Un grande successo di pubblico e critica per uno sguardo internazionale tanto significativo che dimostra la funzione di Napoli anche come propulsore culturale.
L’ARTE E LA POLITICA
Anche la versione napoletana della mostra promette bene, si spera, visto il lungo seguito della presentazione-conferenza stampa-inaugurazione realizzata il 13 marzo. Un evento stracolmo di persone vissuto tra la ufficialità istituzionale in un pieno salone da ballo, e la sala Causa, spazio intimo e sotterraneo quasi ‘pancia’ del museo usato per l’esposizione. Non mancava nessuno: dal Ministro della Cultura Sangiuliano, al presidente della Regione Campania De Luca, al sindaco Manfredi (che arrivato in ritardo non ha avuto la parola), all’Ambasciatore di Spagna in Italia, Miguel Fernández-Palacios, al direttore Bellenger insieme al direttore del Museo Nacional del Prado, Miguel Falomir Faus. L’ago della bilancia si è spostato inevitabilmente più sull’evento che sulla mostra, con varie letture non solo artistiche, ma sociologiche e politiche della mostra. Un dialogo internazionale, di respiro europeo. E se per il Ministro questa mostra è un’operazione “identitaria che esalta le nostre radici“, dall’altra parte dall’Ambasciatore spagnolo è emersa la determinazione della Spagna di ‘”sostenere la stagione culturale che sta vivendo Napoli“. Spezza una lancia nella concretezza il padrone di casa Sylvain Bellenger che evidenzia la situazione complessa di gestione del sito “Mi trovo ad essere un direttore di un’orchestra da camera, un quintetto che ogni giorno deve suonare il grande concerto filarmonico”. Evidenziando come la passione e il superlavoro sopperiscano alla mancanza di personale. L’arte e la politica, binomio declinato in versione contemporanea in questo caso fa da eco a una mostra in cui l’operare degli artisti è naturale espressione di una committenza.
LA MOSTRA E IL SUO SENSO
Il segmento storico di cui si occupa questa mostra, che espone pezzi in alcuni casi totalmente sconosciuti al grande pubblico, è quello di inizio XVI secolo: dal 1503 al 1535 quando Napoli diventa vicereame spagnolo. Il Gran Capitano Gonzalo Fernandez de Cordova entra a Napoli (il racconto di questa storia lo troviamo affrescato a palazzo Reale di Napoli) e la storia acquista un sapore diverso. Così anche l’arte. Un periodo ugualmente florido di cui si racconta poco. Una sintesi della mostra è rintracciabile nella prima opera esposta, ad ingresso della suggestiva installazione nella sala Causa. Si tratta dell’Adorazione dei Magi di Marco Cardisco del 1519 realizzata per la cappella di S. Barbara del Maschio Angioino dove si vedono insieme i Re magi (il potere), la Natività con un intellettuale rimando ai grandi artisti dell’epoca. Il racconto araldico vive nei Re Magi che hanno il volto degli spagnoli a Napoli (secondo la lettura data dai curatori Ferdinando I di Aragona, Ferdinando il Cattolico e Carlo V) in un contesto religioso che è iconograficamente influenzato dall’arte del tempo: l’immagine di San Giuseppe strizza l’occhio a Raffaello mentre il contesto rimanda ai paesaggi e al naturalismo leonardesco. Il potere e l’arte. Tutta la mostra con 66 opere racconta la storia degli artisti spagnoli o del periodo che dialogano, reinterpretano modelli ‘significativi’ e vincenti come quelli di Leonardo, Michelangelo, Raffaello. Si scoprono i percorsi napoletani e non solo, tra pittura e scultura, di Pedro Fernández, Bartolomé Ordóñez, Diego de Siloe, Pedro Machuca, Alonso Berruguete. Un viaggio che lascia il segno e viene reinterpretato al loro ritorno in patria e diventa esempio di una ricchezza espressiva, sottile inquietudine in materia: l’ultima sala racconta questo ‘ritorno’ in Spagna, l’evoluzione di un percorso attraverso le opere in legno di Diego di Siloe, o il Retablo di Sant’Elena di Pedro Fernandez.
IL COLPO GROSSO
Il colpo grosso della mostra, che fa parlare di sè da un po’, è il ritorno della “Madonna del pesce” di Raffaello a Napoli dopo 400 anni. Un’opera concepita per Napoli ma arrivata in Spagna grazie a duca di Medina Ramiro Núñez de Guzmán, è uno dei prestiti del Museo del Prado. Originariamente era stata concepita per una cappella di San Domenico Maggiore, quella della famiglia del Doce, ma nel seicento lascia la città. La cosa singolare è che la famiglia del Doce pur non essendo tra le più ricche della città comunque riesce ad avere un dipinto dell’artista famoso che in quel momento dipinge in Vaticano. Un’opera memorabile per la capacità dialogica dei suoi protagonisti, tra sguardi e gesti che uniscono in un senso. La madonna al centro, Gesù che ferma San Girolamo e accoglie Tobia, accompagnato dall’Arcangelo Gabriele, con in mano il pesce che da velenoso viene utilizzato per guarire gli occhi del padre di Tobia. Ma la caratteristica di questa mostra è la volontà dei curatori di non rendere questa opera una semplice guest star dell’esposizione. Infatti a parte i rimandi agli artisti che rileggono l’opera, si è voluto mettere a confronto l’arte di Raffaello con il suo modello antico: il Giove Ciampolini (dal nome del primo collezionista). Difronte all’opera infatti è stata posta questa scultura romana parte della collezione Farnese, proveniente dal Museo Archeologico di Napoli, che è stato modello per il trono della Madonna e il panneggio del suo vestito. Lo dimostra un disegno che ne ha fatto Raffaello e il fatto che ha ispirato oltre la Madonna del Pesce anche La Madonna del Baldacchino a Firenze. L’opera romana in qualche modo ‘riduce’ la genialità di Raffaello e ne fa comprendere il nesso con l’arte antica. Una rilettura dialogica tra opere voluta dai curatori Zezza e Rinaldi di cui si legge una decisa determinazione concreta manifestatasi anche nel trasportare il Giove dal napoletano MANN alla sotterranea sala Causa, fosse solo per le sue tonnellate di peso.
La mostra ha un obiettivo profondo: far conoscere un momento dell’arte e della cultura spesso ignorato. Per questo va guidata, e fondamentali sono strumenti come il catalogo, già pubblicato ed edito da Arte’m e visite guidate. Poi da una serie di eventi a latere. Un ciclo di conferenze all’Istituto Cervantes e soprattutto visite diffuse nei luoghi in città dove ancora si possono rintracciare questi artisti: dalla chiesa di San Giovanni a Carbonara, quella dei santi Severino e Sossio, di Santa Maria di Monteoliveto (S. Anna dei Lombardi).