Nel mio percorso professionale ho conosciuto innumerevoli donne che hanno scelto di sposare un Barbablù nella loro vita o di accettare una sua proposta di lavoro. Per chi non conosce la storia, Barbablù è la fiaba che narra le vicende di una giovane fanciulla che, seppur intimorita dall’uomo silenzioso dalla barba blu, sceglie di sposarlo e, ricevute tutte le chiavi delle stanze del castello, disobbedisce al divieto del marito di entrare nell’unica stanza che lui le ha vietato di visitare.
Lei disobbedisce (come avviene in ogni fiaba che si rispetti) e scopre che la stanza nasconde una carneficina di donne, precedenti consorti dell’uomo, uccise per aver disobbedito. Non vi svelo il finale… perché il finale di Barbablù non rispecchia purtroppo quello della realtà. Perchè non sempre per le donne che disobbediscono ai vari Barbablù di turno è in serbo una salvezza agita all’ultimo momento. Per disobbedire a Barbablù basta oltrepassare un limite qualsiasi: a volte è una gonna troppo corta, altre una parola in più o in meno, a volte è una telefonata non risposta altre una prestazione sessuale non fornita o la scelta di prendere un caffè con un’amica. La disobbedienza a Barbablù nella vita reale è meno netta e comprensibile di una porta da non aprire e la vittima non sempre sa bene cos’ha fatto di sbagliato quando viene punita per l’errore commesso.
Per una donna che vive la violenza, la carneficina è prima di tutto interna: muoiono ogni giorno parti di lei , muore la sua dignità e il rispetto per se stessa, fino al punto che arriva a pensare che sia giusto così e che Barbablù abbia ragione e che sia meglio mantenere il segreto e non parlare. Ringrazio Amleta e Valeria Perdonò, per questo progetto di denuncia, #apriamolestanzedibarbablù, per tutte le porte chiuse e tutte le storie rimaste sepolte e non raccontate.
Io di stanze ne ho aperte parecchie. Il 25 novembre è ogni giorno.