Tecnologia e Futurismo trovano uno spazio particolare per il caffè come promotore di una nuova modernità che si realizzava attraverso l’avvento della macchina per l’espresso, cioè l’Ideale di Pavoni e Bezzera del 1905 che è generalmente riconosciuta come la prima vera macchina per l’espresso a entrare in produzione commerciale. In realtà la prima macchina a usare la pressione dal vapore per estrarre il caffè fu un’invenzione del 1885 del torinese Angelo Moriondo, ma fu Luigi Bezzera di Milano nel 1901 a fare domanda per un brevetto ufficialmente per una macchina che impiegava la pressione in maniera sicuramente più veloce rispetto ad altri metodi di preparare il caffè. Il brevetto fu acquistato da Desiderio Pavoni con la sua macchina “Ideale” nel 1905, ed è questa la macchina per il caffè espresso generalmente accettata come la prima a essere usata nel campo industriale. Nel 1906, Pavoni e Bezzera fecero presentare la macchina nel World Fair a Milano. Le macchine per l’espresso apparvero ovunque nei bar e nei ristoranti, particolarmente in quelli soprannominati “i bar americani”, frequentati dalla borghesia cittadina come posti per socializzare dopo una giornata di lavoro. Anche se nei caffè più formali, la bevanda era portata al cliente da un cameriere, in questi bar “americani” si cominciò a bere la bevanda in piedi, costume che permane nel modo di bere il caffè in Italia ancora oggi. L’atto di bere in piedi, infatti, continua il concetto della velocità, caro al movimento futurista: una vita veloce associata a una bevanda energetica. Gli anni trenta furono anche gli anni della Moka in alluminio. Durante questi anni, infatti, l’Italia di Mussolini cercava di autosostenersi, secondo i principi dell’autarchia economica, in seguito alle sanzioni internazionali della Società delle Nazioni per la guerra coloniale contro l’Etiopia (1935-36) condotta da Mussolini, la cosiddetta “conquista dell’Impero”. Per quanto riguarda il petrolio, il ferro e il carbone, l’Italia non aveva molto in termini di risorse proprie.
Della bauxite e della leucite, però, ne aveva abbastanza, e perciò, anche prima delle sanzioni, l’alluminio fu un metallo importante nell’industria italiana. Questo fu un grande incentivo per figure come Alfonso Bialetti, esperto d’alluminio, a creare nuovi prodotti da vendere in Italia. Come già accennato, il consumo del caffè durante gli anni trenta (pure dopo l’anno 1935) fu piuttosto alto, nonostante le sanzioni, grazie all’ostinazione del Brasile contro le decisioni della Società delle Nazioni, e grazie alla disponibilità del caffè nell’Etiopia conquistata. Il costume di bere il caffè era da tanto tempo una parte essenziale della società italiana, ma poiché il suo consumo (tranne i casi delle classi più ricche) fu ristretto ai ristoranti e alle botteghe di caffè (soprattutto a causa del costo della macchina per l’espresso), Bialetti si ispirò all’idea di renderlo disponibile invece in casa. Così inventò la macchina Moka, composta di tre pezzi e che usa il vapore per estrarre il caffè: fu una sorta di combinazione della macchina da caffè napoletana e milanese che a quell’epoca si usavano in altre parti d’Italia. Nel 1933, quindi, nacque la prima versione della Moka. L’importanza di quest’avvenimento per il nostro discorso è che esso riesce a riunire tre concetti centrali: la tecnologia, il caffè e il Futurismo. Mentre il legame fra i primi due è relativamente chiaro, quello con il Futurismo è forse meno evidente. Per migliorare torniamo all’origine della parola “espresso” che, contrariamente alla credenza popolare, non è concetto strettamente italiano. Il termine “espresso”, infatti, fu preso dall’inglese express ripreso a sua volta dalla parola francese exprès, che vuol dire “made to order”, o “fatto su ordinazione.” Alla metà dell’Ottocento in Inghilterra, esistevano dei treni che correvano alle singole destinazioni senza fermarsi in fermate intermedie, cioè, correvano expressly (espressamente) verso una stazione in particolare. In Europa questi treni furono conosciuti come expresses. Nel 1905, quando Luigi Bezzera fece domanda per un brevetto per la sua macchina per l’espresso (che utilizzava un boiler con quattro pistoni), contò sul fatto che la gente capisse il riferimento ai treni e alla velocità che si intendeva con il termine caffè espresso. Ci sono anche poster pubblicitari che servono a evidenziare l’intreccio tra il caffè (e in particolare il caffè espresso) e il futurismo. La prima pubblicità, infatti, è di Leonetto Cappiello del 1922 (Livorno 1875 – Cannes 1942) e rappresenta un uomo sul treno che stende la mano per prendere un caffè dalla macchina per l’espresso. Il poster pubblicitario è esemplare nel fatto che fornisce una rappresentazione visuale del discorso sopra esposto, cioè sul treno express e il caffè fatto in modo expressly, tutti e due che utilizzano il vapore per correre e che sfruttano il concetto della velocità. Terminiamo questo argomento con una legittima domanda: “Perché i Futuristi erano così attratti dal caffè?”. La risposta è alquanto semplice: il caffè contiene la caffeina che è un alcaloide naturale che eccita la mente e permette di produrre idee in modo certamente più rapido. Non stupisce, dunque, che Filippo Tommaso Marinetti (il fondatore del movimento futurista) fosse chiamato “la caffeina d’Europa”. Il più grande portavoce del futurismo considerava il caffè, uno strumento che poteva “liberare” l’Europa dall’idolatria del passato.