L’episodio di violenza, consumatosi ai danni della docente di inglese del liceo “Plinio Seniore” di Castellammare di Stabia in provincia di Napoli, dimostra come ormai da tempo la Scuola sia violata e attaccata. Infatti la violenza fisica che ha subito Lucia Celotto è espressione sintomatica della violenza con cui da tempo è danneggiata la Scuola italiana. Il contesto sociale e l’area geografica in
cui si è verificato l’evento sono alibi inconsistenti e semplicistici per analizzarlo. La signora Celotto è stata ferita, offesa, picchiata non solo come persona ma proprio in qualità di docente nel suo
ambiente professionale. Nella sua figura è stata ferita la Scuola. Agli occhi della società civile la Scuola ha perso la sua autorevolezza. Questa affermazione, molto pesante, risulterà impopolare e
facilmente contestabile. A parole infatti è detto esattamente il contrario da più fronti, politico, sociale, scolastico e altri. La verità dei fatti è ben altra: alla Scuola (indicata con la maiuscola proprio per
sottolinearne il valore intrinseco) non è più riconosciuta la sua autorevolezza di istituzione sociale, culturale e formativa. Non è la Scuola ad averla persa ma è la comunità civile che l’ha intaccata. L’autorevolezza di riferimento richiama il concetto di “auctoritas” presso i Romani.
L’ “auctoritas”non va confusa con la “potestas”, cioè il potere esercitato dai magistrati romani ai tempi della Repubblica; essa invece indicava il prestigio, la superiorità morale, il rispetto che la comunità civile riconosceva a un cittadino in virtù del suo spessore morale, delle sue qualità individuali, delle sue abilità grazie a cui si era distinto in azioni e gesta per accrescere il benessere e la potenza dello Stato. Del resto il termine “auctoritas” ha la stessa radice del verbo “augeo” (“accresco”, “aumento”). Quindi colui che aveva “auctoritas” era una persona che accresceva in onore, in autorevolezza, in rispetto sugli altri, come il “princeps”, esercitando di fatto la capacità di influenzare e di raccogliere consenso e sostegno attorno alla sua volontà e al suo operato. Alla luce del significato etimologico, la Scuola è un’Istituzione pubblica che gode di un’ “auctoritas” superiore ad altre agenzie e realtà formative e culturali e è un pilastro fondante della società. Il confronto con la scuola del passato, prossimo o lontano che sia, è un atteggiamento nostalgico e anacronistico. La Scuola è per sua natura camaleontica: è in grado di gestire risorse umane in perenne formazione, di modulare tempi e contenuti culturali in base alle variabili e alle contingenze che le si presentano, di mettere in essere inedite strategie didattiche e flessibili modalità organizzative, di attivare percorsi curriculari innovativi. Tutto questo perché sa che deve misurarsi con la realtà esterna, coi cambiamenti in continuo divenire in ambito socioeconomico, scientifico, culturale, politico. Ma non per piegarvisi o allinearvisi piuttosto per realizzare pienamente la sua essenza: dai 3 ai 18 anni è chiamata a costruire individui autonomi con una personalità libera di esprimersi, a modellare menti aperte e curiose di conoscere per “fare cultura”, a formare cittadini adulti consapevoli di sé e delle proprie responsabilità in funzione del bene comune. Le ricadute dell’azione della Scuola sul tessuto sociale sono fondamentali. Ma ormai spesso la comunità civile non sa adeguatamente valorizzare il valore di tale
azione. Come? I genitori che interferiscono nella realtà scolastica sono membri della comunità: spesso i loro atteggiamenti di ingerenza sono inopportuni e dannosi per i figli stessi. Ormai da tempo tale
ingerenza si compie con varie modalità. Gli addetti ai lavori assistono a situazioni intollerabili: voti e giudizi contestati con argomentazioni labili e infondate, provvedimenti giuridici di fronte alla
bocciatura a fine anno decisa da un consiglio di classe, lamentele di varia natura presentate direttamente al Dirigente scolastico senza prima il confronto con il corpo docente, critiche in merito
a decisioni del consiglio di classe o a metodologie didattiche messe in campo da un insegnante. Più frequenti sono anche le azioni di violenza come nel caso citato. Insomma, pressioni, condizionamenti,
interventi arbitrari a gamba tesa. Si tratta di attacchi con danni per gli studenti. Di fronte a ciò la Scuola non deve di certo fare a pugni, nemmeno giustificarsi ma è chiamata a difendere la sua libertà
d’azione, a chiarire i confini tra sé e la famiglia non sobbarcandosi al ruolo educativo di quest’ultima. La Scuola deve rivendicare con fermezza la sua “auctoritas”: è uno dei pilastri su cui si regge la
crescita globale di un paese. Giù le mani!