Luigi Lo Cascio ha scritto una raccolta di 33 racconti brevi che restano in mente come i ritornelli di una canzone. Ma con una differenza: la canzonetta spesso se ne va, mentre queste piccole storie no.
Non è il primo caso, ovviamente, di un attore che passa alla scrittura. E non sarà nemmeno l’ultimo: «Non c’è stato un momento preciso in cui mi sono detto: ora scrivo un libro. Io scrivo sempre, accumulo suggestioni, idee, esperienze. Durante la pandemia scrissi un raccontino surreale come risposta a un messaggio di un amico e mi accorsi che non era male, che forse avrei potuto fare un percorso narrativo. E così mi sono messo in ascolto e ho fatto in modo che la mia vita mi suggerisse molti inizi da diario di bordo. Le chiamo storielle, avrei potuto chiamarle racconti, ma ho voluto giocosamente sminuirle. Le vedo come storielle umoristiche che possono anche essere lette ad alta voce».
La morte come tema costante: «Sì, la morte è una costante; non come fine di qualcosa, ma come una delle tante possibilità. La morte come un evento qualsiasi, Poi si parla parecchio del ruolo della distrazione e della consolazione. Esistono le piccole distrazioni, quelle che ti allontanano da ciò che invece devi affrontare. E c’è la Distrazione con la sua compagna Consolazione. Sulla prima ho un giudizio negativo, è un palliativo inutile. La seconda invece è l’essenza della vita: il lavoro, il sentimento, la lettura, la scrittura. Se non c’è l’amore ci si sente soli, senza lavoro si può essere angosciati. Noi siamo fatti delle nostre distrazioni. Io sono fatto della cosa che mi distrae di più. E sono fatto di ciò che mi consola. La Distrazione e la Consolazione sono esperienze di conoscenza. Loro creano la nostra identità».
Per chi scrive Lo Cascio: « Per me. Per scoprire dove mi troverò, chi sarò dopo aver scritto. Per me la scrittura è un inseguimento, una corsa. E quando si corre non si corre per qualcun altro, ma per scappare o per raggiungere qualcuno. Poi ho pensato che le storie potessero riguardare tutti e in quel momento ho lavorato per renderle leggibili: interessanti, musicali. Un mio racconto in effetti inizia con due settenari, e segue con una serie di endecasillabi. Si tratta di “Se fossi stata blu!”-Nel primo racconto invece scrivo di una mosca è accusata di aver mangiato un divano? Parlo di un’ingiustizia che mi ferisce, identificare una persona, per tutta la vita, con un unico fatto occasionale. In “La Stella Nera” osservo che ognuno di noi ha dentro di sé un mostro che lo identifica. Il mio mostro non mi somiglia, ma ha i miei occhi. Ha la mia stessa paura».