Democrazia e nazione. Dibattito a Trieste tra Luciano Violante e Gianfranco Fini. e’ il titolo di un volumetto, contiene gli atti dell’incontro svoltosi il 14 marzo 1998 al Teatro Verdi di Trieste tra Luciano Violante e Gianfranco Fini con gli studenti dell’ateneo giuliano. In quell’occasione è stata esaminata l’evoluzione del rapporto tra “Democrazia e identità nazionale”, che è stata affrontata con riferimento alla storia politica di Trieste e del paese lungo il corso del XX secolo. La prima parte del libro contiene il resoconto puntuale delle risposte di Violante e Fini alle domande degli studenti, preceduto dal saluto del Rettore e da una introduzione di Liborio Mattina. Nella seconda parte sono riportati alcuni commenti e reazioni all’incontro.
È giusto quel che dice Violante…». «È vero quel che dice Fini…». Così, l’ultimissima domanda arriva un po’ perplessa al presidente della Camera: lei e Fini usate lo stesso linguaggio… Ghignetto sardonico di Luciano Violante: «Si preoccupa?». No, ma… «Guardi, spero non ci sia nostalgia degli odi. Dopodiché, le diversità restano». Sipario. Il confronto tra i due, sul filo della storia e della memoria, è durato un paio d’ore. Sono a Trieste, la città più lacerata d’Italia. A Scienze Politiche han tenuto seminari sul «ruolo della memoria nella politica». L’Università ha chiamato il presidente della Camera ed il segretario di An a rispondere, nel teatro Verdi, alle domande degli studenti. «Un incontro», dice il rettore Lucio Del Caro, «che qualcuno non avrebbe voluto». Tocca a Gianfranco Fini aprire. «Sono convinto dell’assoluta necessità di definire una memoria storica condivisa dal nostro popolo. Il dopoguerra è finito, ma è stato lunghissimo. Per decenni gli errori e gli orrori del nostro recente passato non sono stati compresi, col risultato di tramandare l’odio ideologico. L’Italia vedeva i giovani riferirsi ai protagonisti dello scontro bellico: le Bra i partigiani, i Nara Salò…».
Risponde Luciano Violante: «L’Italia è riconciliata da tempo. Ognuno ha diritto alla sua memoria. Le memorie possono essere divise, è la storia che deve essere unitaria. Certe pagine di storia sono state girate in fretta, per convenienza. Bisogna
riaprirle e leggerle, anche se non fa piacere». Guarda gli studenti: «Ragazzi, la legittimazione ognuno se la conquista per i valori che ha, per quello che fa: non ci sono ”ego te absolvo” in politica». Si parla del confine orientale, ma perché
l’Italia intenda. Di quest’area plurioccupata, plurioppressa, divisa, tormentata, dove si sono concentrati i drammi della Risiera di San Sabba – il forno nazista -e delle foibe, dove finirono, uccisi dai partigiani di Tito, migliaia di italiani. E poi degli esodi dall’Istria. «Qui», dice Violante, «ci sono state responsabilità gravi del pensiero e del movimento comunista, responsabilità gravi del movimento fascista». «Una parte di Trieste e dell’Italia si è appropriata di San Sabba; l’altra parte, delle foibe. Ma sono pagine che tutti dobbiamo leggere. È terribile, la dismemoria delle foibe. Perché è stata possibile? Io credo per bassa convenienza internazionale con Tito schierato contro l’Urss era conveniente non tirar fuori questioni che lo imbarazzassero. Ma nelle foibe, per lo più, finirono italiani, oppositori non comunisti, che si ribellavano all’idea che questo territorio diventasse non italiano». Prima lezione, conseguente, di Luciano Violante: «Una delle cose più terribili è avere pezzi di paese che si appropriano di pezzi di storia, e dicono ”questa è roba nostra, guai a discuterne, guai a capire perché capire è cedere”». Così non c’è futuro. La memoria può essere gabbia o motore… Se da oggi ricordassimo che qui ci sono stati due genocidi culturali, prima verso gli slavi poi verso gli italiani, se non si parlasse più di foibe e di San Sabba come di cose contrapposte, sarebbe un bel passo avanti». E Fini? D’accordo. Ricorda le parole di Francesco Cossiga, ancora presidente della Repubblica, nella storica visita alla foiba di Basovizza, le sue accuse a «una classe politica vile su cui pesava il ricatto comunista», ma solo per far da contraltare a Luciano Violante su un versante speculare: «Oggi sarebbe sbagliato fermarsi a quelle parole. Dobbiamo leggere tutte le pagine della storia di qui». Ancora Violante: «C’è stato un divorzio tra democrazia, storia e verità. Quando l’ideologia prevale, storia e verità si piegano. Oggi, sono cambiate le condizioni internazionali: l’Italia può scrivere liberamente le pagine della sua storia per la prima volta da cinquant’anni, senza condizionamenti ideologici». Chiosa Fini, ironico: «Si potrebbe cominciare con le scuole. Il ministro Luigi Berlinguer si è lodevolmente impegnato a introdurre nei programmi la storia del ‘900,ma ha usato una prudenza sospetta enumerando tra i totalitarismi il nazismo, il fascismo ed il «sovietismo»…». Educati, con composta calorosità accademica, gli applausi toccano ad entrambi in parti uguali. Azzarda uno studente di Pordenone: «Io vivo in una città governata dalla Lega. Non vi sembra che questo dibattito sia un po’ in ritardo?». Ma no… Seconda lezione di Violante: «In politica non è possibile che ci siano errori solo da una parte. Tu parli della Lega. Ora, la Lega esprime due sentimenti che sono parte rilevante della cultura italiana: il «far da sé» e la volontà di ricevere servizi corrispondenti alle imposte. Su queste cose, bisogna riflettere a fondo». Occhiata obliqua a Fini: «Non si
può brandire il sentimento nazionale come coperchio da mettere su tutto. Il sentimento nazionale può portare a stare dalla parte sbagliata . Com’è successo ai tempi della Rsi…». E occhiata, metaforica, al resto della politica: «Non si può contrapporre alla Lega il federalismo istituzionale e stop. Se i treni, gli ospedali, tante cose non funzionano, i l cittadino pensa: ma questa democrazia a che serve?». Finita. Strette di mano, e via per strade separate. Violante affronta i giornalisti.
Violante, non è che lei sta studiando da presidente della Repubblica? «Guardi che queste mie posizioni risalgono a molti anni fa. Ho cominciato a scriverne su «Panorama» nel 1995…». «Per caso» ha l’articolo con sé. Lo sventola. Presidente, non è
che oggi si è saldato l’asse An-Pds? «Questo asse non so proprio dov’è». E Fini? È corso allo stadio, per Bologna-Vicenza.