Quello che scendeva era Benito Mussolini, giunto ormai agli sgoccioli della sua parabola politica e umana. Saliva le scale invece Sandro Pertini, il dirigente socialista che nel 1978 sarebbe stato eletto presidente della Repubblica italiana: avrebbe riferito successivamente che il Duce in quel momento appariva «molto emaciato, pallido, irriconoscibile, non era più il baldanzoso delle fotografie». Mancava poco alla fine del dittatore che aveva oppresso l’Italia per vent’anni. Ma come si era arrivati a quel fuggevole incontro?
[…] Una settimana prima il Duce aveva abbandonato Villa Feltrinelli di Gargnano (Brescia), sua residenza nel periodo della Repubblica sociale italiana (Rsi), per trasferirsi presso la prefettura di Milano. Era un uomo allo stremo. […]. Nel pomeriggio del 25 aprile, mentre i partigiani prendevano possesso della città dopo aver proclamato lo sciopero generale, una delegazione fascista, guidata da Mussolini, ne incontrò una del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (Clnai) presso l’arcivescovado di Milano.
[…] Apparve presto chiaro che non esistevano margini per un vero negoziato, in quanto la richiesta ultimativa del Clnai era la resa incondizionata. Per giunta nel corso della discussione affiorò la notizia che i tedeschi avevano a loro volta avviato dei contatti sotterranei con i partigiani, senza consultare le autorità della Rsi […]. «Ci hanno sempre trattati come servi e alla fine ci hanno traditi!», esclamò Mussolini, adirato contro i nazisti. Quindi lasciò l’incontro, dicendo che sarebbe tornato entro un’ora con una risposta. Fu allora, uscendo per le scale, che si trovò di fronte Pertini, giunto in ritardo alla riunione.
[…] Intorno alle otto di sera del 25 aprile, Mussolini partì per Como con il suo seguito, comprendente l’amante Clara Petacci e una scorta delle SS al comando del sottotenente Fritz Birzer. All’uscita dalla prefettura gli venne scattata l’ultima foto da vivo. Nella città lariana la notte tra il 25 e il 26 aprile fu all’insegna della più assoluta incertezza. […] Al mattino Mussolini partì per Menaggio, sulla sponda occidentale del lago di Como, dove tenne una riunione con i gerarchi al seguito. Poi si recò in una caserma della milizia confinaria, un ex albergo in località Grandola. Forse voleva provare a passare la frontiera elvetica, ma la zona era presidiata dai partigiani. Del resto sua moglie Rachele era stata respinta, con i figli Romano e Anna Maria, al confine di Chiasso. Quindi il dittatore tornò a Menaggio. Il 27 aprile il Duce si aggregò a un’autocolonna della contraerea tedesca diretta verso nord. Tra le località di Musso e Dongo il corteo venne bloccato dai partigiani della 52ª brigata Garibaldi. Dopo una breve sparatoria i resistenti, al comando di Pier Bellini delle Stelle, si accordarono con i nazisti: li avrebbero lasciati passare, in cambio della consegna di tutti i fascisti che erano insieme a loro. Nella piazza di Dongo il convoglio venne ispezionato. Mussolini si era nascosto su un camion, con indosso un cappotto e un elmetto tedeschi, ma venne scoperto dal garibaldino Giuseppe Negri e arrestato insieme agli altri italiani. L’armistizio firmato dall’Italia del 1943 prevedeva che il dittatore fosse consegnato agli Alleati, ma i partigiani erano di diverso avviso: un decreto del Clnai aveva stabilito per i capi principali della Rsi la pena di morte. Quando ricevette la notizia dell’arresto del Duce alla sera del 27 aprile, il comitato insurrezionale di Milano, composto da Pertini, Leo Valiani (azionista), Emilio Sereni e Luigi Longo (comunisti), incaricò Walter Audisio e Aldo Lampredi, partigiani del Pci, di andare a prelevare Mussolini e giustiziarlo. Il Duce trascorse l’ultima notte della sua vita insieme a Clara Petacci, a cui era stato concesso di seguirlo. […] Sull’esecuzione di Mussolini sono circolate molte versioni differenti, ma la più accreditata riferisce che il dittatore e l’amante furono uccisi a colpi di mitra in località Giulino di Mezzegra, a fianco del cancello di Villa Belmonte, alle 16.10 del 28 aprile 1945.