La rassegna “L’Essere e l’Umano” al Teatro Diana di Nocera Inferiore prosegue con il debutto su suolo nocerino dello spettacolo “Circe: le origini”, in scena venerdì 28 Aprile. L’opera del duo Fallucchi e Favilla è un intenso atto unico che accompagna lo spettatore in una riflessione tra fonti classiche e riletture moderne, su una delle figure più ricche di chiaroscuri nella storia della mitologia greca.
Un monologo intervallato da pochi accenni musicali, un corpo vestito di strati che via via rivelano le profondità di un personaggio spesso appiattito a semplice ostacolo nel “viaggio dell’eroe” di Odisseo. L’attrice Alessandra Fallucchi mette in scena quanto raccontato da Madeline Miller nel romanzo “Circe” (2018), nel quale il vissuto di questa figura si fa più vicino anche alla realtà del contemporaneo. Circe è sì una maga potente, esperta nell’uso di una materia che spaventa persino gli dèi, ma è una figura a metà – figlia del dio Helios e della ninfa Perseide, il suo è un racconto di sofferenza dovuto alla crudeltà dei fratelli, alla separazione da una famiglia dalla quale non si sente compresa, alla sofferenza di non essere ricambiati da una persona alla quale si è donato tutto. Il personaggio di Circe va a inserirsi in uno specifico filone di donne mitologiche dipinte come intriganti e pericolose, come anche Medea, con la quale secondo alcune fonti condivide un grado di parentela che varia a seconda del racconto.
La resa di Favilla e Fallucchi si avvale di un forte comparto tecnico che ottimizza la presenza statuaria dell’attrice in scena, ottenendo un effetto simile a quel “pop mistico” che caratterizza ad esempio i concerti della cantautrice britannica Florence Welch. L’uso dei veli e delle silhouette, in particolare, collocano la narrazione dello spettacolo fuori dal tempo – e dunque, in quel tempo del mito che cambia pelle ma parla a chiunque resti in ascolto. Prestare orecchio a questa Circe significa addentrarsi in una storia di violenza: non solo la violenza carnale della prevaricazione maschile, denominatore comune di tutte le revisioni che nascono in una prospettiva femminista contemporanea, ma anche la violenza di sentimenti che non si riescono a controllare perché nessuno ha insegnato come domarli. Circe domina la materia, e diventa padrona di sé solo nel momento in cui rinuncia alla ricerca di comprensione da parte di quella stessa famiglia che l’ha sempre vista e trattata come una cosa incompiuta.
Figure come quelle di Medea, Medusa o appunto Circe vengono rivendicate da quelle correnti letterarie che comprendono la funzione ancora attivissima del mito: quello di rappresentare la fallibilità dell’umano e anche di ciò che va oltre l’umano. Se Medusa non è solo il mostro dagli occhi che mutano l’uomo in pietra, ma anche e soprattutto la vittima di un capriccio sessuale di una figura potente, Medea è una vergine ingannata due volte, e Circe non è solo la strega che per punire dei marinai indisciplinati li trasforma in maiali e solo quando viene sedotta da Ulisse riesce a placarsi. Sono figure con una tridimensionalità che è stata costruita nel tempo, perché il mito è una storia corale che passa di mano in mano, di visione in visione.
L’uso di registrazioni che spezzano il narrato “a voce” aiuta a comprendere che il mito è da sempre fatto di punti di vista anche incompatibili tra loro, di voci sovrapposte che vanno a comporre queste vite mai esistite ma che per la visceralità del loro sentire si fanno vicine allo spettatore di ogni tempo.