La Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, chiamata informalmente “Bicamerale”, fu costituita nel 1997, durante la XIII Legislatura, per lo studio e la presentazione di una riforma della Costituzione il 24 gennaio 1997 venne promulgata la legge costituzionale “Istituzione di una Commissione parlamentare per le riforme costituzionali”. Si decise la formazione di una bicamerale composta da 35 deputati e 35 senatori. Il 5 febbraio 1997 Massimo D’Alema, allora segretario del PDS, venne eletto Presidente con 52 voti su 70 con l’appoggio di Forza Italia e dei centristi del Polo. Vennero eletti 3 vicepresidenti: Leopoldo Elia (PPI), Giuliano Urbani (FI) e Giuseppe Tatarella (AN). A seguito di ciò, la Lega Nord abbandonò la commissione per rientrarvi a sorpresa il 4 giugno e votare con il Polo il semipresidenzialismo.
Un evento importante, anche se avvenuto fuori dal contesto istituzionale, fu il “patto della crostata” il 18 giugno 1997 a casa di Gianni Letta, in cui PDS, FI, AN e PPI raggiunsero l’intesa per una repubblica semipresidenziale e una legge elettorale a doppio turno di coalizione. Un profilo affrontato nel testo era anche il Titolo IV della Seconda parte della Costituzione, attinente alla giustizia.
Il 30 giugno la Bicamerale vota il testo di riforma completo, comprensivo di una parte sulla forma di Stato e di governo; ad esso vengono preannunciati in assemblea alla Camera 42 000 emendamenti. Dopo molti colpi di scena, con la formazione e il disfacimento di assi inediti fra partiti di destra e sinistra, il 1º febbraio 1998 Berlusconi sorprende tutti ribaltando, con la richiesta di cancellierato e proporzionale, la posizione adottata fino a quel momento. A questa richiesta Berlusconi fa seguire un ultimatum il 27 maggio 1998, con l’effetto pratico di rovesciare il tavolo delle trattative. La nota ufficiale della morte della Bicamerale viene diramata dal presidente della Camera Luciano Violante il 9 giugno, quando annuncia all’aula che Massimo D’Alema gli ha comunicato che in mattinata l’ufficio di presidenza della “commissione ha preso atto del venire meno delle condizioni politiche per la prosecuzione della discussione”. Fabio Mussi dei DS denunciò allora:
«La Bicamerale è morta. Sia chiaro che non è né un suicidio né un ictus. È un omicidio e l’assassino si chiama Silvio Berlusconi.»
Quest’ultimo rispose: «Ho sentito che qualcuno vuole farmi un monumento. Credo che sia un titolo di assoluto merito avere evitato cattive riforme. Quindi se qualcuno mi sta costruendo un monumento lo ringrazio.»
Il giudice Gherardo Colombo definì la Bicamerale in un’intervista al Corriere della Sera del 22 febbraio 1998 come “figlia del ricatto” attirando numerosissime critiche dal centrodestra e dal centrosinistra. Per converso, il giudice Carlo Nordio ha sostenuto su Il Messaggero che il roccioso presidente D’Alema rinunciò alla sua riforma bicamerale su pressione dell’associazione magistrat. In un’intervista a Il Borghese dell’aprile 1997 Licio Gelli affermò che le riforme proposte dalla Bicamerale erano fortemente simili al Piano di Rinascita Democratica della P2.