La rassegna “L’Essere e l’Umano” del Teatro Diana di Nocera Inferiore apre la sezione dedicata agli spettacoli della Compagnia Artenauta con un grande ritorno: il regista Antonello Ronga, a quattro anni dall’ultima performance nocerina, torna a raccontare Napoli attraverso il classico, una libera riscrittura delle fonti antiche e contemporanee sulla “Gatta Cenerentola”, dal Basile a Roberto De Simone sino anche all’adattamento futuristico dello studio d’animazione partenopeo Mad Entertainment, omaggiato nel prologo attraverso le note dei Foja.
Quadri animati raccontano una Napoli magica fatta di figure liminali che trainano la narrazione e le danno una vita unica che unisce la magia alla quotidianità profana. Una storia corale quella di questo “Cunto d’a jatta”, che non è fatta solo da una Cenerentola che subisce le angherie di una matrigna intrigante e di sorellastre a cui è dato tutto solo in virtù del sangue condiviso, ma è fatta soprattutto da quella Napoli popolare di lavandaie che chiacchierano sotto il sole cocente, di “capère” che tramandano il pettegolezzo come fosse una leggenda e sarte costrette a lavorare per una nobiltà che non le considera neppure umane. Tutto accade in una cornice che nasconde misteri non visibili a tutti, ma di cui tutti sussurrano: alla placida figura della fata madrina dell’immaginario Disney si sostituisce il “munaciello”, creatura dispettosa che però qui si lascia intenerire il cuore dalla bontà di Cenerentola e decide di mettere le sue capacità di divinità minore al servizio di un animo gentile.
Interessante la scelta di Ronga di far interpretare ad uno stesso attore il doppio ruolo del “munaciello” e del principe, a dimostrazione della duplicità della natura umana, per la quale l’oggetto del desiderio nasconde un certo grado di pericolo – un pericolo che diventa in questo caso un elemento di fascino.
Mettere in scena una compagnia numerosa non è impresa facile, ma in questo caso gioca tutto a favore dello spettacolo: il palco gremito rende alla perfezione l’idea delle grandi piazze affollate, nelle quali si accalcano voci diverse, ciascuna con la sua storia da raccontare. Sono figure che fanno da rete di sicurezza ad un cast principale che ha portato sulle proprie spalle l’estensione del testo dall’inizio alla fine.
Spicca in particolare il coro “mortuario” dei femminielli, che rovescia completamente la propria estetica e i riferimenti all’aldilà – il loro numero, lo stesso dei portatori di una bara, i veli di pizzo nero, il rosario sgranato insistentemente – con parole scoppiettanti e tempi comici incisivi.
L’idea che ogni scena sia un quadro è supportata non solo dal comparto costumi, che spazia dalla semplicità di candide camicie da notte a mise molto più elaborate che richiamano il folclore napoletano in tutti i suoi colori, ma anche da un disegno luci quasi caravaggesco.
Ronga racconta Napoli attraverso il suo lato più “pop”, scegliendo per una delle scene madri una resa acustica di una hit di Maria Nazionale: una dichiarazione d’amore a 360° per una terra che racchiude in sé infinite anime tutte da scoprire.
Che il teatro sia gioia lo dimostrano non solo gli applausi a scena aperta, ma l’amore da cui è pervasa tutta la performance, frutto di una collaborazione artistica ormai decennale che assomiglia in tutto e per tutto alla celebrazione di tutto ciò che di bello ha da offrire la sesta arte.