Gelida primavera, rassomigli al corpo di una donna martoriata,
ai ricordo di ciò che era un tempo, alla sua turgida carne senza grinze,
alle lacrime che come pioggia incessante bagnano le sue rughe simili ai solchi nel terreno arato per la semina.
Gelida primavera che da quel terreno non ricaverà più frutti, stagione senza vita, priva di fiori e di profumi,
rassomigliante ad una donna che appare troppo giovane per morire ma troppo vecchia per gioire,
alle sue immense cicatrici celate sotto false sembianze di felicità.
Gelida primavera, senza frutti né gemme, priva di rondini e di grida festose, dimmi, dove ti sei nascosta?
Anche tu temi di riscaldare le anime avvizzite dal tempo e dall’odio?
Anche tu sei priva di quell’ incanto tiepido e assolato che un tempo rendeva le giornate meno insensate?
Io, ti prego e t’ imploro, torna a risplendere sui nostri volti grigi e a rischiarare i nostri risvegli, il nostro domani!
Fa’ finta che quella donna avvizzita e imbiancata dal tempo e dal dolore sia ancora la giovane donzella che correva tra i prati assolati e voleva spiccare il volo come la bianca farfalla che non si vede più.
Gelida primavera, ora basta piangere, ritorna in te, allontana le ombre che t’ incupiscono, sii te stessa senza badare alle voci dissonanti di chi ti vuole cambiare, annientare.
Annalisa Capaldo