La fertilità del suolo nocerino è decantata già nell’antichità e specialmente da Cicerone che nella sua orazione De lege Agraria annovera Nuceria come una delle principali città più fertili della Campania. La ragione della fertilità delle sue campagne è dovuta all’abbondanza delle acque che vi sorgono quasi dappertutto, le quali talvolta hanno pure recato danni ingenti ai Nocerini. Infatti, come narra il vescovo di Nocera Simone Lunadoro, nel 1600 a causa delle prolungate piogge tracimò tanta acqua dagli alvei fluviali che la popolazione fu costretta a spostarsi da un luogo all’altro con delle barchette.
L’aria divenne malsana che causò la morte di cinquemila individui, e le donne sposate che restarono vive divennero sterili tanto che nei due anni seguenti nessune o molto poche furono le nascite nella città di Nuceria (Cfr. S. Lunadoro, Copia di una lettera scritta dal molto illustre e reverendissimo mons. Lunadoro vescovo di Nocera de’ Pagani intorno all’origine di detta città e suo vescovado al Signor Alcibiade Lucarini, Stamperia di Tarquinio Longo, Napoli 1610). Molto probabilmente sia le molteplici morti sia la sterilità di molte donne fu dovuta al fenomeno del mefitismo, cioè l’esalazione di aria malsana, nociva e irrespirabile derivante dalla stagnazione delle acque soprattutto delle paludi. Infatti, si deve alle paludi, che hanno decimato le popolazioni nei secoli passati, la scomparsa di intere città. La situazione col tempo non migliorò di molto, infatti, nel mese di ottobre del 1660 gli alvei strariparono di nuovo, molte strade cittadine a causa dell’abbondante
acqua sembravano fiumi e fino ad aprile del 1661 per la persistenza dell’abbondante acqua le campagne non si poterono seminare, così come si legge negli Annali di Ovidio e Gaetano Forino: “Nel mese di ottobre 1660 è stata tanta la crescenza dell’acqua e tante delle acque che
si può dir più che acquava atteso non bastando che si sono ingrossati li fiumi di San Mauro et il fiuminale, ma per la strada regia che va sotto S. Francesco di Paola mena tant’acqua che pare un altro fiume e tutte le campagna a dirittura per sotto Barbazzano, Domara et Olivella si vede un mondo di lago et semo ad aprile 1661 et anco dura detta crescenza d’acqua di modo che detti territori non si sono potuti seminare per causa di detta acqua”(Cfr. Di Nardo Fiorentino, Cronaca e Storia del ’600 nell’Agro. Gli Annali di Ovidio e Gaetano Forino, Pagani 1995). A questo punto sarà utile fare alcune precisazioni.
Il convento, intitolato a San Francesco da Paola, era stato fondato a Pagani accanto a un’antica chiesa dedicata a Santa Maria della Carità intorno al 1580 dai padri Minimi, che vi risiedettero fino al 3 dicembre del 1807, quando fu chiuso in forza del R.D. del 14 agosto 1806, perché in esso vi dimoravano meno di dodici padri. Nel 1875 il convento fu concesso in enfiteusi al sacerdote paganese Tommaso Maria Fusco che lo adibì a casa madre del neonato ordine religioso delle Figlie della Carità e del Preziosissimo Sangue, che vi risiede tuttora. Il 20 maggio del 1971 tutta la parte del convento prospicente la strada fu abbattuta perché pericolante e dopo fu ricostruita (Cfr. B. Mangino, Il servo di Dio Canonico Tommaso Maria Fusco, Roma, 1954; G. Cuomo, Le leggi eversive del secolo XIX e le vicende degli Ordini religiosi della Provincia del Principato Citeriore, Mercato San Severino, 1971). Il ricorso alle processioni con la statua o il quadro di San Francesco di Paola, protettore dell’Università di Pagani, era abituale in tutti i casi nei quali occorreva un intervento miracoloso per risolvere situazioni altrimenti irrisolvibili. Infatti, come si legge nell’Archivio comunale di Pagani, nella seduta del parlamento cittadino del 25 luglio 1690 si decise di dare in elemosina alla chiesa di San Francesco trenta ducati “ (…) havendosi riguardo alli benefici e gratie, che giornalmente si ricevono da nostro Signore per intercessione di detto nostro protettore al quale si ricorre per ogni bisogno di questa Università, così per l’acqua come per la serenità del tempo, et ogni altro, che occorre (…)”.
La Domara era un piccolissimo casale che si trovava a nord dell’Università di Barbazzano, verso il territorio di San Marzano. Il toponimo Olivella, che si è conservato fino ai nostri giorni, deriva dal fatto che in quella zona si coltivava l’uva “ulivella” che produceva vino di scarsa qualità, perché le viti erano piantate in pianura, in terreni più adatti alla semina del grano (Cfr. G.B. Scalfati, Piano di economia riguardante la città di Nocera, così in rapporto del suo
terreno che in riguardo del suo popolo, in Giornale Enciclopedico del Regno di Napoli, aprile 1785, pag. 14). Sempre a proposito dei fiumi e dei torrenti Giovan Battista Scalfati annotava, alla fine del XVIII secolo, che “(…) moltissime volte per la loro soverchia abbondanza riescono dannose e nocive (…)” e gli straripamenti “sogliono essere spaventosissimi, e non poche volte hanno cagionato ai torrenti, non meno che alle abitazioni danni enormi, le di cui memorie sono vive e lagrimevoli (…)”(Cfr. G. B. Scalfati, op. cit., pp. 30-31). Come si è visto, il problema degli straripamenti dei corsi d’acqua era uno dei gravi problemi che affliggevano le Università nocerine e questo nonostante il fatto che periodicamente, a spese delle varie Università, si procedesse alla pulizia degli alvei. Così, ad esempio, nella seduta del parlamento del 25
aprile 1679 di Pagani fu deciso che i proprietari dei terreni vicini al fiume dovevano eliminare “tutti li cepponi et altri impedimenti che impediscono il corso dell’acqua” sotto pena di carlini venti.