Diciamolo apertamente: nonostante le tante celebrazioni di questi giorni per il centocinquantesimo anniversario della morte, per molti di noi Alessandro Manzoni è legato a ricordi non proprio esaltanti. Ricorda, infatti, mattinate sui banchi di scuola, ore di studio, la paura di interrogazioni.
In questa prospettiva “I Promessi Sposi” alla fine si riducono a una materia da studiare tra le altre, un po’ fuori moda con questa storia di due popolani del Seicento che non riescono a sposarsi. «Ma perché non vanno a convivere invece di tirarla tanto per il lungo?!» si chiedono i ragazzi di oggi, e non è facile spiegare loro che nel Seicento le cose andavano in modo diverso, tra donne e uomini. Non facile senza sentirsi dire: «Ma allora perché leggiamo questo mattone, se racconta di un mondo tanto distante dal nostro?».
Ascoltando oppure leggendo o rileggendo il romanzo si scoprirà che anche se tanto è cambiato da quel novembre 1628 in cui prende il via la narrazione manzoniana, I Promessi Sposi hanno mantenuto tanta della loro attualità nell’aiutarci a capire l’Italia e gli italiani. Questa storia milanese del XVII secolo, come la definisce lo stesso Manzoni, ha, infatti, l’universalità dei capolavori e consente facilmente di identificarsi anche se non si è mai visto neanche in cartolina “quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno”, teatro delle vicende di Renzo e Lucia.
Questo perché lo scrittore milanese racconta di un tempo e un luogo dove lo Stato e le istituzioni sono fragili, incapaci di dare certezze e protezioni ai propri cittadini. Racconta di pezzi grossi gonfi di alterigia e privi del minimo senso di responsabilità anche se occupano incarichi importanti e sono uomini di governo. Mammasantissima che mettono il loro vantaggio e la loro reputazione al di sopra di ogni cosa in quello che pare uno specchio del potere speculare a quello dell’Italia di oggi. Come non riconoscersi, almeno un poco!
A rendere ancora più familiare il quadro ci sono anche tirannelli, un po’ di figli di papà, perché di nobili natali, un po’ mafiosi, tipo don Rodrigo, con i suoi bravi che con metodi da cosca tiranneggiano il circondario. Che cos’è in fondo il famoso “questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai” detto a don Abbondio col tono di chi non ammette repliche se non un avvertimento ante litteram in stile mafioso?