Celebrazioni oggi a Palermo in ricordo della strage di Capaci, in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. All’interno e all’esterno dell’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo iniziative in ricordo della strage del 23 maggio 1992.
La premier Meloni, in collegamento da Roma, ha sottolineato che “il compito della politica è assicurare il sostegno totale da ogni punto di vista, culturale e materiale: dalle iniziative legislative alle dotazioni di risorse umane e strumentali per aiutare chi non si risparmia per liberarci dalla mafia. Il cammino davanti a tutti noi è ancora lungo e difficile, ma non ci spaventa anzi ci rafforza al cospetto dei familiari dei caduti ci inchiniamo con gratitudine”.
Presente il ministro degli Interni Piantedosi – che in precedenza ha deposto una corona d’alloro davanti alla stele che ricorda l’attentato – assieme a 80 baby sindaci da tutta Italia, oltre al capo della polizia Vittorio Pisani; il prefetto Francesco Messina, direttore centrale Anticrimine della Polizia; il prefetto di Palermo Maria Teresa Cucinotta, il questore di Palermo Leopoldo Laricchia e la vedova del caposcorta di Falcone, Tina Montinaro. “Il loro esempio continua a vivere – ha detto Pisani – e il nostro dovere è mantenerlo sempre più vivo”.
“Il loro esempio continua a vivere e il nostro dovere è mantenerlo sempre più vivo”, ha proseguito il capo della Polizia ricordando, non solo il giudice ucciso a Capaci ma anche “il sacrificio” degli “11 servitori dello Stato” morti nelle stragi del 1992. Tra Capaci e via D’Amelio, dice Pisani, morirono “tre straordinari magistrati, Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e Paolo Borsellino e 8 eroici poliziotti: Rocco, Vincenzo, Walter, Agostino, Claudio, Vito, Antonio ed Emanuela, prima ed unica donna in uniforme uccisa dalla mafia”. Uomini e donne che, conclude, “nella perfetta consapevolezza dei rischi che correvano, hanno sacrificato la loro vita per l’affermazione dei valori di legalità in cui credevano e su cui si fonda la nostra Nazione”.
“Magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno demolito la presunzione mafiosa di un ordine parallelo, svelando ciò che la mafia è nella realtà: un cancro per la comunità civile, una organizzazione di criminali per nulla invincibile, priva di qualunque onore e dignità”. Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in una dichiarazione in occasione del 31/mo anniversario della strage di Capaci. “L’azione di contrasto alle mafie va continuata con impegno e sempre maggiore determinazione. Un insegnamento di Giovanni Falcone resta sempre con noi: la mafia può essere battuta ed è destinata a finire”, aggiunge.
“Il 23 maggio di trentuno anni fa – ricorda il capo dello Stato – lo stragismo mafioso sferrò contro lo Stato democratico un nuovo attacco feroce e sanguinario. Con Giovanni Falcone persero la vita sua moglie Francesca Morvillo, magistrata di valore, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, che lo tutelavano con impegno. Una strage, quella di Capaci, che proseguì, poche settimane dopo, con un altro devastante attentato, in via D’Amelio a Palermo, nel quale morì Paolo Borsellino, con Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina. A questi testimoni della legalità della Repubblica, allo strazio delle loro famiglie, al dolore di chi allora perse un amico, un maestro, un punto di riferimento, sono rivolti i primi pensieri nel giorno della memoria. Quegli eventi sono iscritti per sempre nella storia della Repubblica. Si accompagna il senso di vicinanza e riconoscenza verso quanti hanno combattuto la mafia infliggendole sconfitte irrevocabili, dimostrando che liberarsi dal ricatto è possibile, promuovendo una reazione civile che ha consentito alla comunità di ritrovare fiducia. I criminali mafiosi pensavano di piegare le istituzioni, di rendere il popolo suddito di un infame potere. La Repubblica seppe reagire con rigore e giustizia”. “La mafia li ha uccisi – dice ancora Mattarella – ma è sorta una mobilitazione delle coscienze, che ha attivato un forte senso di cittadinanza. Nelle istituzioni, nelle scuole, nella società civile, la lotta alle mafie e alla criminalità è divenuta condizione di civiltà, parte irrinunciabile di un’etica condivisa”, conclude Mattarella.
“In questa città aver fatto accordi con la mafia viene ritenuto da tutti un fatto disdicevole?”. E’ la domanda posta, sulle pagine di Repubblica Palermo, da Alfredo Morvillo, fratello di Francesca, cognato di Giovanni Falcone, in occasione del trentunesimo anniversario della strage di Capaci. “È il tempo di andare avanti – scrive Maria Falcone, sorella di Giovanni, sempre sullo stesso quotidiano – di perseverare nella ricerca della verità e al contempo smettere di usare l’antimafia per fare carriera, per fare passerella”. Ad accendere il dibattito su posizioni diverse tra i familiari di due delle vittime della strage di Capaci c’è il sostegno alla giunta di centrodestra di Palermo del sindaco Roberto Lagalla da parte di Marcello Dell’Utri e Salvatore Cuffaro, politici condannati per fatti di mafia. “Troppo spesso i cittadini ricevono dall’alto segnali che invitano a convivere con ambienti notoriamente in odore di mafia” dice Morvillo, ex procuratore di Trapani. Le sue parole suonano anche come una critica, neanche troppo velata, a Maria Falcone che durante la campagna elettorale dell’anno scorso si scagliò contro gli impresentabili (“La politica non si può permettere sponsor che non siano adamantini, Dell’Utri e Cuffaro non lo sono”) e che quest’anno ha firmato un accordo con Lagalla per realizzare un nuovo museo dell’antimafia. “È il tempo di non abbassare la guardia – spiega Maria Falcone – e al contempo costruire ponti tra le diverse componenti sociali, pretendere impegni da chi vuole unirsi allo sforzo del cambiamento, senza criticare a priori, magari rianimati da una certa nostrana acida propensione alla presunzione”.