Il primo quadro a ritrarre una tazzina di caffè è forse il capolavoro di Francisco de Zubarán “Piatto di cedri, cesto di arance e tazza con rosa” del 1633 (Los Angeles, Norton Simon Foundation). Da allora il caffè compare in innumerevoli tele che ne documentano la diffusione sociale. Per Napoleone il caffè era un “liquore intellettuale” e nell’Enciclopedia, manifesto dell’Illuminismo, si apprende che il caffè ha il potere di “rallegrare la mente, renderla più pronta al lavoro, svagarla e dissiparne i dispiaceri”.
Pietro Verri e Cesare Beccaria, nel 1764, chiamarono “Il Caffè” la rivista filosofico-letteraria destinata a scuotere i lombardi dal torpore delle tradizioni e dei pregiudizi, caffè come la bevanda che “rischiara lo spirito e riconforta l’anima”. Infine, Charles Maurice de Talleyrand (1754 – 1838), uomo politico e diplomatico francese, affermava: “Il caffè dev’essere caldo come l’inferno, nero come il diavolo, puro come un angelo e dolce come l’amore”.
Per gli amanti del caffè questa potrebbe essere la descrizione più appropriata e poetica per definire questa magica bevanda. Già, ma come nasce il caffè. Il chicco di caffè nasce in Etiopia ma impiega secoli per fare il giro del
mondo e conquistarlo. Più di mille anni fa i nomadi preparavano una bevanda inebriante coi suoi frutti, essiccati, macinati e trasformati in gallette, facile da trasportare. Come si giunse al loro uso è leggenda. Infatti, esistono molte leggende sull’origine del caffè. La più conosciuta racconta di un pastore etiope chiamato Kaldi che un giorno portando le
sue capre al pascolo queste mangiarono delle bacche e delle foglie di una pianta con i frutti rossi. Quella notte invece di dormire girarono con un’energia incredibile. Kaldi sorpreso da questo episodio raccolse quei frutti miracolosi e li portò al monastero Chehodet. Qui furono messi in infusione, bolliti e bevuta l’acqua di cottura i monaci notarono ricevere un’energia che li tenne svegli tutta la notte delle preghiere. Questa bevanda fu chiamata qahwa (ciò che stimola, che tiene in alto), in memoria del sovrano salito al cielo con un carro alato. Tutt’oggi, qahwa, in arabo vuol dire caffè. In seguito, la
parola qahwa, fu trasformata e utilizzata in modo più restrittivo, nella lingua turca, in kahve, in italiano caffè. Un’altra leggenda parla di un guaritore dello Yemen di nome Omar che allontanato dalla sua città Mocha stava quasi morendo di fame durante la sua reclusione in una grotta ma trovando dei frutti rossi che crescevano vicino, provò a
cuocerli e a bollirli (perché erano troppo duri da masticare). Bevuta l’acqua di cottura, si sentì molto meglio e decise di darne un po’ anche a un vecchio pellegrino che si riprese subito e tornò a casa da solo. Arrivata questa notizia nella sua città, Omar fu accolto con tutti gli onori. Storie diverse con un unico finale: il caffè tira su, dà tono e aiuta ad
affrontare impegni e prove con più energia. Di là delle leggende, sembra che i primi abitanti dell’Etiopia masticassero quei frutti crudi, per trarne l’effetto stimolante, oppure ne facevano una bevanda con il succo fermentato. In Europa verso il 1650 il caffè cominciò a essere importato e consumato particolarmente in Inghilterra, di conseguenza
aprirono i primi circoli e bar chiamati coffee house (i più famosi quelli di Oxford e Londra). In seguito aprirono nuovi locali, dove gustare il caffè a Berlino, Parigi, Vienna e anche negli Stati Uniti, prima a Boston e poi a New York. In Italia, l’uso di questa bevanda inizialmente chiamata Vino d’Arabia si diffuse nel 1700 da Venezia, dove nacquero i primi locali come ad esempio il Caffè Florian. In definitiva, dunque, che cos’è il caffè? Il caffè è un frutto di forma ovoidale originario di una pianta sempreverde che nasce nei climi tropicali ad altitudini che vanno dai 200 ai 2000 metri sul livello del mare.
Naturalmente abbiamo differenti caffè in base al posto di provenienza, ma le principali specie sono: l’Arabica che cresce nei paesi centro-sudamericani dove il Brasile è il maggiore produttore; in Colombia, Venezuela, Portorico, Guatemala e anche in Africa (Kenya) e ultimamente nel sud-est asiatico con ottimi risultati. Dall’Arabica si ottiene un
caffè dal gusto corposo, aromatico, con sapore meno amaro e più persistente, con un contenuto di caffeina molto basso (0.7-1.7) e rappresenta i ¾ della produzione mondiale; il seme ha una forma allungata con un solco centrale ondulato e cresce dagli 800 ai 2000 metri sul livello del mare.
Fanno parte dell’Arabica i seguenti caffè: Moka, Bourbon, Santos, San Paolo. Tra i più pregiati e costosi lo Jamaican Blue Mountain, per le caratteristiche di poca acidità ed equilibrio, è trasportato in botti di legno da 25 Kg. Tra le varietà di caffè più pregiate ce n’è una che si distingue particolarmente non solo per l’aroma e il prezzo elevato, ma anche per il modo in produzione e a causa di ciò, la quantità limitata di produzione: si tratta del caffè Kopi Luwak che proviene dalle isole indonesiane di Sumatra, Giava e Sulawesi. Ne sono prodotti solo 230 Kg l’anno, al prezzo di 900 Euro, ossia 9 Euro a tazzina. In questo caffè la civetta delle palme mangia i frutti della pianta e ne espelle i chicchi. Questi chicchi sono raccolti dal terreno già tostati dagli enzimi dell’intestino dell’uccello. L’aroma di questo caffè è meno amaro e ha
un sapore di cioccolata. L’altra piantagione è la Robusta con un gusto amato e deciso, un aroma debole, talvolta stringente. Il chicco si presenta panciuto con un solco diritto e cresce dai 200 ai 600 metri sul livello del mare in Africa e Asia. La Robusta è ricca in caffeina (dal 2 al 4 %) ma dona all’espresso molta schiuma. Il caffè cresce in una ciliegina (drupa) che quando è matura si presenta di colore rosso e contiene due chicchi contrapposti e quando ne contiene uno solo, si chiama caffè caracolito o perla e si
presenta tondeggiante-sferica. La raccolta è effettuata in due modi. A mano (picking) dove si passa più volte raccogliendo le bacche più mature, oppure con macchine pettinatrici (stripping) che scuotono i rami e fanno cadere tutti i frutti, anche quelli acerbi e rotti; si tratta quindi di una raccolta poco costosa ma anche di scarsa qualità. La fase successiva consiste nel separare le drupe dai semi e si può eseguire in due modi: a secco oppure con impiego di acqua. A secco i frutti sono essiccati al sole e rimestati e quando la polpa è secca, i frutti si fanno passare in macchine decortatrici che frantumano la
buccia e il pergamino liberando i semi che saranno separati per grandezza. Ad acqua, le drupe essiccate sono spolpate tramite apposite macchine liberandoli dalla polpa e buccia; i semi ancora ricoperti del pergamino e da mucillaggini sono tenuti a mollo in vasche con acqua per 1-3 giorni, che dopo sono lavati con forti getti d’acqua e in seguito essiccati al sole. Confezionato e selezionato per qualità e grandezza, è spedito in sacchi di juta da 60 Kg nei paesi importatori. In questo caso il caffè è ancora crudo e di colore verde. La cottura o tostatura consiste nell’immergere in “vasche” larghe e basse a forma cilindrica,
dove il caffè verde è mescolato da pale davanti a fonti di calore. La tostatura avviene per quindici minuti a circa 200-220 gradi e in base al paese consumatore è fatta più bruna (es. Italia) ed è detta a “tonaca di fratementre” in altri paesi (Francia e Svizzera) abbiamo una tostatura bionda, più leggera. La tostatura provoca al caffè importanti modifiche: cala di peso, aumenta di volume e diventa friabile e assume un colore bruno e sviluppa moltissimi aromi grazie agli oli contenuti ed è per questo motivo che dopo la tostatura deve essere raffreddato e confezionato.