«Essendo nato e facendo parte di una società borghese ed essendo allora borghese io stesso, “Gli indifferenti” furono tutt’al più un modo per farmi rendere conto di questa mia condizione. […] Che poi sia risultato un libro antiborghese è tutta un’altra faccenda. La colpa o il merito è soprattutto della borghesia» Gli indifferenti è il romanzo d’esordio di Alberto Moravia pubblicato nel 1929. Lo scrittore iniziò la stesura del libro a Bressanone, dove si era recato per la convalescenza dalla malattia di Pott, una patologia delle ossa. Stamattina Leo e Lisa, insieme a Carla, Michele e a tutti gli altri personaggi, sono comparsi sul palcoscenico dell’attualità data da una delle tracce per il compito d’italiano della maturità (quella del ” t’avessi preso prima, le mie mani sul tuo seno”, citazione Venditti).
Nel romanzo Moravia riesce a rendere con perfetto realismo le meschinità e le ipocrisie di una società, come quella della borghesia, inautentica, convenzionale, sdoppiata falsamente da ciò che ciascuno pensa e da ciò che viene detto in un clima di costante menzogna. Il brano tratto da Gli indifferenti vede al centro tutti i protagonisti principali del romanzo di Moravia, che si trovano a un passo dal perdere la loro villa, tenuta al centro delle voglia di Leo, amante di Mariagrazia, madre di Carla e Michele. Per la prima volta, Mariagrazia riflette sulla possibilità che la sua vita cambi in peggio, infatti “la paura ingigantiva” perché la pone di fronte all’idea di povertà, a quei poveri di cui “non aveva mai voluto sapere e neppure conoscerli di nome, non aveva mai voluto ammettere l’esistenza di gente dal lavoro faticoso e dalla vita squallida”. Un ritratto spietato di una borghesia completamente autoassolutoria, che vede nei “poveri” persone che, privi della loro intelligenza soffrono di meno
Sul piano formale il romanzo fornisce un esempio di prosa sagace, precisa, aderente alle cose, realistica in aperto contrasto con quella dominante in quel periodo e nel precedente. Un certo alone di scandalo, per la scabrosità della vicenda non fu estraneo al successo del romanzo, ma ciò che disturbò maggiormente la classe dirigente fu la sincerità con cui Moravia era riuscito a denunciare la vacuità morale della borghesia degli anni Venti e Trenta: essa, infatti, incapace di ricercare una nuova ed autonoma via morale, finì per far propri i principi del fascismo, che a loro volta avevano le proprie radici nella borghesia patriottica della prima metà dell’Ottocento, con esiti, come si evince nel libro, a dir poco grotteschi.
Nella sua Letteratura italiana del Novecento il critico letterario Cesare Segre parla di come la questione linguistica del romanzo in questo caso sia secondaria rispetto al tema del libro: “Moravia usa un linguaggio quotidiano con molti dialoghi, dedica un’attenzione totale ad ambienti e oggetti, è solo preso dal suo tema”. Lo scrittore, infatti, vuole che l’attenzione sia sull’argomento, che tornerà anche in romanzi successivi come la noia. Segre, infatti, parla di tema, per allora, straordinariamente nuovo e sconvolgente:
Oltre all’indifferenza, cioè al rifiuto di ogni problematica morale, altri temi sono: l’incomunicabilità e il velleitarismo impotente di fronte ad una vita concepita come destino da subire. Il romanzo venne concepito da Moravia come una grottesca tragedia, diviso in sedici capitoli scritti con un linguaggio essenziale, quasi scarno, tutto proteso ad evidenziare l’ambiente entro il quale si muovono i personaggi e a rendere in modo chiaro i pensieri che attraversano loro la mente. Moravia, insomma, anticipa di parecchi anni il cinema di Antonioni, la sua trilogia dell’incomunicabilità. A proposito di incomunicabilità. vi siete accorti che i sintomi sono tornati ai giorni nostri ? Abbiamo praticamente tutto per comunicare ma riusciamo a comunicare niente o quasi, cioè niente che possa lasciare un segno, una traccia, una fonte di discussione seria, di un livello culturale superiore. Siamo i nuovi Indifferenti e a riusciamo a non parlarne, limitandoci all’emoticon del caso. E non esiste manco un nuovo Moravia pronto a ricordarcelo. Oggi passerebbe per quel che era: un comunista, sia pur “indifferente” e “annoiato”.