Estratto dell’articolo di Stefano Cappellini per repubblica.it
Paolo Cirino Pomicino, la sua ex allieva politica Daniela Santanchè è nei guai. Le aziende di cui è proprietaria hanno combinato pasticci gravi con azionisti, dipendenti e fornitori.
“Anche se non siamo più amici da molti anni, mi dispiace sinceramente per la situazione in cui si trova”.
Dovrebbe dimettersi da ministra?
“Ogni epoca ha i suoi criteri. Nella Prima Repubblica ci si dimetteva anche per responsabilità oggettive e non personali. Quando fuggì Herbert Kappler, il ministro della Difesa Vito Lattanzio si dimise, sebbene non ci fosse certo lui di guardia all’ospedale del Celio”.
Qui le responsabilità sembrano decisamente personali.
“Io stento a credere a quello che ho visto e sentito, anche se testimoniato e documentato. Se posso dare un ultimo consiglio non richiesto, e sempre con spirito amichevole, Daniela si indigni e si dimetta mettendo così nelle sue mani la propria dignità e quella del suo partito”.
(…)
Come nacque il suo rapporto con Santanchè?
“La conobbi a fine anni Ottanta, quando ero ancora ministro. Mi rivolsi all’allora suo marito Paolo Santanchè, che era un noto chirurgo, per un problema di mia figlia. Da lì cominciammo a frequentarci, soprattutto d’estate a Porto Cervo, in Sardegna”.
Santanché aveva già interesse per la politica?
“Si dichiarava fascista, raccontava di aver militato nelle organizzazioni universitarie”.
Non le faceva impressione che si dicesse fascista?
“No di certo, io avevo un fratello comunista e un altro fascista, per come si può esserlo a 18 anni, e pensavo, sbagliando, che avesse passione sincera per la politica. Invece lei è una specialista del marketing”.
E l’amicizia con Pomicino che mercato le apriva?
“La frequentazione del potere. Le feci conoscere anche Andreotti, a Capri”.
Però dopo Tangentopoli lei il potere l’aveva perso.
“Sì ma restavo molto noto e a Daniela era sufficiente. In realtà la notorietà purchessia era diventata negli anni Novanta un valore politico ed economico e io ero una specie di suo soprammobile: mi invitava a tutte le feste e io ci andavo con piacere. Una sera in Sardegna andammo alla festa di un signore russo molto alla moda in quel periodo. C’era anche Ignazio La Russa. Una tv ci intervistò all’ingresso. La Russa elogiò l’anfitrione, io dissi che non sapevo nemmeno chi fosse il padrone di casa. La mia prudenza democristiana fu utile, un mese dopo lo arrestarono”.
“Io la consigliavo, la aiutavo con i discorsi. Gliene scrissi uno anche per un congresso di Alleanza nazionale, contro le quote rosa”.
Ma perché lo faceva? Devo chiederglielo: aveva una relazione con Santanchè?
“Assolutamente no. Erano gli anni in cui ero impegnato solo con i tribunali e mi mancava la politica. Ero felice di pensare, di scrivere e di darle una mano”.
Tanto che le presentò anche Silvio Berlusconi.
“Andammo in barca a villa Certosa. Dissi a Silvio che Daniela aveva molta passione e avrebbe potuto essere utile alla sua causa”.
E Santanchè?
“Stava in An ma parlò a Berlusconi come una perfetta forzista. In questo ha capacità straordinarie”.
Poi nel 2001 fu eletta alla Camera nelle liste di An.
“La Russa era riuscito a metterla seconda in lista, non il massimo, perché all’epoca non aveva grande potere nel partito. Ma la prima degli eletti si dimise per fare altro e Daniela entrò in Parlamento”.
E lei le consigliò di andare in commissione Bilancio.
“Era la mia materia, spesso le preparavo gli interventi sulla legge finanziaria. Daniela invece ingaggiò un professore che le dava lezioni di storia nazionale mentre lei faceva manicure o pedicure. Una scena alla Sorrentino. Io le dissi che era inutile farsi raccontare la storia da qualcuno. O leggi o non serve a niente”.
Santanchè passò ai libri?
“Non credo, né si mise a studiare la finanza pubblica. E il prof fu licenziato dopo poco”.
Quali erano le ambizioni di Santanchè? Diventare ministra? Premier?
“Ha sempre avuto enormi ambizioni, che di per sé non sono un peccato. Ma senza la voglia di migliorarsi e conoscere, però, resta solo voglia di potere. L’episodio che meglio le racconta non c’entra con la politica. Negli anni Novanta organizzò un concorso di cucina e mi invitò a far parte della giuria, di cui lei era presidente. Mi trovai ad assaggiare un piatto e d’istinto dissi: che schifezza.
Santanchè mi diede un cazzotto dietro la schiena e disse: stai zitto che è il mio piatto. Sa chi vinse quel concorso? Lei. Siccome era presidente di giuria fece consegnare il premio al compagno Mazzaro, il quale dopo la cerimonia mi disse: la tua amica non conosce vergogna. Ecco, mi pare la frase che meglio la descrive”.
Alle Politiche del 2008 Santanchè era candidata premier della Destra, il partito di Francesco Storace che aveva rotto con Fini.
“Daniela ha ballato il tango con tutti i partiti di destra. Da An a Forza Italia poi con la Destra di Storace, per tornare a Forza Italia e quindi a Fratelli d’Italia”.
Ma in quelle elezioni attaccò duramente Berlusconi. Disse che vedeva le donne solo in posizione orizzontale e aggiunse: “Tanto io non gliela do”.
“I latini dicevano: excusatio non petita, accusatio manifesta”.
Come finì la vostra amicizia?
“La prima frattura fu quando Mastella nel 2004 mi candidò alle elezioni europee. Lei, invece di tifare per me, cominciò a dire in giro che non ce l’avrei mai fatta a essere eletto. Invece andai a Strasburgo. Poi nel 2006 tornai nel Parlamento nazionale e lei non voleva che andassi in commissione Bilancio. Io ero in lista per un trapianto di cuore e lei mi disse: le riunioni sono alle otto del mattino, non puoi farcela. Le risposi che avremmo spostato l’orario”.
A quel punto non le scriveva più i discorsi.
DANIELA SANTANCHE
“Da tantissimo tempo. Forse aveva trovato altri ghost writer. Ma la cosa che mi ferì di più fu che prima del mio trapianto di cuore a Pavia lei disse a Mazzaro: spero che il tuo amico non si svegli domattina”.
Parla per risentimento, dunque?
“Fai bene e scordati, fai male e pensaci, dice una canzone napoletana, e io così ho fatto”.
Secondo lei Santanchè si dimetterà?
“Non lo so. Il mio consiglio l’ho dato, ma Daniela è capace con grande convinzione di dire cose in cui non crede o di difendere l’indifendibile”.